Chi non ha vestiti usati nell’armadio alzi la mano. La domanda di capi vintage e second hand, infatti, è aumentata parecchio negli ultimi anni e ciò, soprattutto per una questione di carattere ambientale ed economico, è sicuramente una buona notizia. Tuttavia, prima di indossare un abito vintage o di seconda mano poco acquistato sarebbe sempre in modo migliore lavarlo adeguatamente, dato che potrebbe essere un potenziale veicolo di alcune malattie infettive. Ecco quali e perché.
Le infezioni
Secondo i dati disponibili in letteratura, i vestiti possono ospitare patogeni come lo Staphylococcus aureus, che causa infezioni della pelle, Salmonella, E. coli, norovirus e rotavirus, che possono causare febbre, vomito e diarrea, e, infine, i funghi, come Candida, il piede d’atleta e la tigna. Per esempio, da una recente indagine sui vestiti vintage venduti in un mercato in Pakistan è emerso che in molti dei campioni analizzati c’erano tracce di Staphylococcus aureus e Bacillus subtilus, soprattutto negli abiti per bambini.
Temperatura, umidità e materiale
Molti patogeni, come E coli, Staphylococcus aureus e Streptococcus pyogenes, possono sopravvivere sui vestiti per mesi se tenuti a temperatura ambiente. Tuttavia, come ricorda ScienceAlert, la loro durata varia anche in base al materiale con cui sono fatti i vestiti: se di cotone o di fibre miste possono rimanere vivi fino a 90 giorni, mentre sui tessuti in poliestere anche fino a 200 giorni. E, infine, all’umidità: la maggior parte delle specie batteriche, infatti, sopravvive in modo migliore nei tessuti quando l’umidità dell’aria è elevata.
Vestiti vintage e microbioma
Dato che il microbioma cutaneo, ossia i milioni di batteri, funghi e virus che rivestono la nostra pelle, è adattato in modo unico a una singola persona, ciò che è innocuo per lei può essere invece causa di malattia per un altro individuo. E, sebbene finora non sia stato condotto alcuno studio che calcoli il rischio di contrarre una malattia da abiti di seconda mano, i dati che abbiamo oggi a disposizione indicano che molti patogeni potrebbero essere presenti sui vestiti vintage se questi non sono stati puliti prima di essere messi in vendita. “La maggior parte dei microbi ha bisogno di acqua per crescere”, ha spiegato a ScienceAlert Primrose Freestone, microbiologa dell’Università di Leicester. “Le aree della pelle che tendono a inumidirsi, come le ascelle, i piedi e le zone genitali, hanno il numero più elevato e le specie più diverse di microbi e i tessuti entrati in contatto con queste aree saranno anche i più contaminati. Oltre ai fluidi corporei, gli abiti possono essere contaminati da tracce di cibo, altra fonte di crescita per eventuali batteri o funghi”.
Lavare, prima di indossare
Per ridurre il rischio di potenziali infezioni, quindi, è necessario lavare i vestiti vintage per la prima volta separatamente dal bucato normale, a circa 60°C, temperatura in grado di rimuovere lo sporco e i germi e inattivare gli agenti patogeni. Se si vuole essere ancora più sicuri, si può usare un’asciugatrice o un ferro a vapore (sempre ad alte temperature). “Anche se molti venditori di vestiti di seconda mano affermano di lavare i capi prima di venderli, non si può mai essere strabocchevole sicuri”, conclude l’esperta. “Questo è il motivo per cui è bene lavare comunque tutti i vestiti di seconda mano”. E lo stesso dissertazione vale anche per tutti i vestiti nuovi.