La terribile eruzione del Vesuvio del 79 d.C. non avvenne fra il 24 e 25 agosto, come si riteneva fino al 2018, ma fra il 24 e il 25 ottobre. Lo conferma una ricerca, a guida italiana, pubblicata sulla rivista Earth-Science Reviews, che ha ricostruito tutte le fasi dell’eruzione, che diffuse le ceneri fino alla Grecia. Lo studio, che fornisce gli strumenti per mitigare il rischio di eventi simili, è stato pubblicato su Earth-Science Reviews e condotto da Ingv in collaborazione con Cnr-Igag,Università di Pisa, Laboratoire Magmas et Volcans di Clermont-Ferrand e Heriot-Watt University di Edimburgo.
L’integrazione tra lo studio sul campo, le analisi in laboratorio e la rilettura delle fonti importanti ha consentito di seguire temporalmente tutte le fasi dell’eruzione, dalla camera magmatica fino alla deposizione della cenere in aree lontanissime dal vesuvio, trovandone traccia fino in grecia.
Lo studio si intitola “The 79 ce eruption of Vesuvius: a lesson from the past and the need of a multidisciplinary approach for developments in volcanology”. Il team di ricercatori pluridisciplinari ha raccolto e analizzato criticamente la vasta produzione scientifica disponibile sull’eruzione, integrandola con nuove ricerche.
“Il nostro lavoro esamina con un approccio ampio e multidisciplinare diversi aspetti dell’eruzione del 79 d.C, integrando dati storici, stratigrafici, sedimentologici, petrologici, geofisici, paleoclimatici e di modellazione dei processi magmatici ed eruttivi di uno degli eventi più famosi e devastanti che hanno interessato l’area vulcanica napoletana – spiega Mauro Di Vito, vulcanologo dell’ingv e coordinatore dello studio -. L’articolo parte dalla ridefinizione della data dell’eruzione, che sarebbe avvenuta nell’autunno del 79 d.C. e non il 24 agosto come si è ipotizzato in passato, e prosegue con l’analisi vulcanologica di siti in prossimità del vulcano per poi spostarsi progressivamente fino a migliaia di chilometri di distanza, dove sono state ritrovate tracce dell’eruzione sotto forma di ceneri fini”.
“Fin dal XIII secolo, la data del 24 agosto è stata oggetto di dibattito fra storici, archeologi e geologi perché incongruente con numerose evidenze – dice Biagio Giaccio, ricercatore dell’Igag-Cnr e coautore dell’articolo -. Come, ad esempio, i ritrovamenti a pompei di frutta tipicamente autunnale o le tuniche pesanti indossate dagli abitanti che mal si conciliavano con la data del 24- 25 agosto”, aggiunge Giaccio.
La prova definitiva dell’inesattezza della data è però un’altra: “Un’iscrizione in carboncino sul muro di un edificio di pompei che tradotta cita ‘il sedicesimo giorno prima delle calende di novembre, si abbandonava al cibo in modo smodato’, indicando che l’eruzione avvenne certamente dopo il 17 ottobre”, continua Giaccio. La scoperta dell’iscrizione venne annunciata già nel 2018 dal ministro della cultura Dario Franceschini, ma il lavoro dei ricercatori internazionali ne conferma la validità e l’importanza storica.
La ricerca è stata poi integrata dalla valutazione quantitativa dell’impatto delle singole fasi dell’eruzione sulle aree e sui siti archeologici vicini al vulcano. “Lo spirito del nostro lavoro è stato quello di comprendere come un evento del passato possa rappresentare una finestra sul futuro, aprendo nuove prospettive per lo studio di eventi simili che potranno verificarsi un domani”, prosegue Domenico Doronzo, vulcanologo dell’ingv e coautore della ricerca.
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2022-06-23 08:11:22 ,napoli.repubblica.it