Il partito del primo ministro uscente dell’Ungheria, Viktor Orbán, ha stravinto le elezioni parlamentari ungheresi, che si sono tenute domenica 3 aprile. Orbán otterrà quindi il suo quinto mandato come primo ministro, il quarto consecutivo. La vittoria di Orbán, che governa in maniera semi-autoritaria ed è noto per le sue posizioni illiberali, non era affatto scontata: per la prima volta dopo molti anni l’opposizione si era presentata unita e ci si aspettava un risultato meno netto.
Stando ai risultati ufficiali la coalizione che sostiene Orbán, che comprende soprattutto il suo partito Fidesz, ha preso il 53,1 % dei voti: dovrebbe ottenere così circa due terzi dei 199 seggi della Országgyűlés, la camera unica del parlamento ungherese. A sfidare Orbán c’era una coalizione di sei partiti piuttosto diversi tra loro, guidata dall’economista conservatore Péter Márki-Zay, considerato «il primo vero sfidante di Orbán dal 2006», che ha ottenuto circa il 35 % dei voti.
Secondo vari osservatori internazionali, alle elezioni di domenica non c’erano comunque le condizioni per permettere all’opposizione di competere realmente con Orbán.
Tra le altre cose, Orbán ha sfruttato lo strettissimo controllo che già esercita sui media per avere molta più visibilità rispetto ai suoi avversari: le molte forzature e bugie al centro della sua campagna elettorale, finanziata con modalità considerate non esattamente trasparenti, sono state «pervasive» sui canali di comunicazione pubblici. Secondo varie analisi, le elezioni di domenica sono state anche «pesantemente» influenzate dal cosiddetto “gerrymandering”, la pratica di modificare strumentalmente i confini dei collegi elettorali in modo da favorire una certa parte politica.
Nel suo discorso di vittoria, domenica sera, Orbán ha elencato quelli che considera i suoi avversari, con una lista che include «la sinistra internazionale», i «burocrati di Bruxelles», il finanziere e filantropo ebreo George Soros (al centro di varie teorie complottiste), e anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Orbán è uno dei politici europei più vicini al presidente russo Vladimir Putin, che ha lodato pubblicamente in più occasioni. La guerra in Ucraina aveva messo Orbán in una posizione piuttosto scomoda, condivisa con i politici europei di estrema destra che negli anni scorsi avevano espresso la propria fascinazione per Putin: aveva dovuto sostenere le durissime sanzioni decise dall’Unione Europea contro la Russia, ma al contempo non aveva mai condannato esplicitamente Putin per avere provocato la guerra e si è opposto più volte all’invio di armi all’Ucraina.
In campagna elettorale Orbán aveva puntato moltissimo sul presentarsi come una scelta sicura in tempi di grande incertezza e instabilità, ed è una strategia che sembra avere funzionato. Lo ha fatto anche con la guerra in Ucraina, sostenendo che l’obiettivo dell’Ungheria fosse restare «fuori da questa guerra» ed evitare che le famiglie ungheresi dovessero «pagare il prezzo» della guerra in corso.
Orbán è primo ministro dal 2010. Nel corso degli anni, ha minato in modo significativo le strutture democratiche e la tenuta dello stato di diritto nel paese. Ha approvato diverse norme che limitano la libertà di stampa e intaccano l’indipendenza del sistema giudiziario, promosso posizioni discriminatorie contro la comunità gay e le minoranze di musulmani, rom ed ebrei, e introdotto leggi che criminalizzano l’accoglienza per i migranti, che ha continuato a presentare, anche durante questa campagna elettorale, come un pericolo e come i protagonisti di una presunta e imminente “invasione”.
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2022-04-04 07:40:11 ,