L’epilogo era ormai inevitabile. Mercoledì 2 ottobre, dopo oltre due anni di strenua resistenza, le forze ucraine hanno abbandonato Vuhledar, città mineraria nell’oblast di Donetsk che era diventata un simbolo della lotta contro l’invasione russa. Un’amara sconfitta per Kyiv, che perde così un importante baluardo difensivo all’intersezione tra i fronti orientale e meridionale.
Situata su un’altura tattica a 50 chilometri a sud di Pokrovsk, Vuhledar costituiva infatti una spina nel fianco per i russi, ostacolando il loro obiettivo di controllare l’intero Donbass. Dal 2022, la città aveva respinto numerosi assalti nemici, infliggendo pesanti perdite. A febbraio 2023, centinaia di soldati russi erano finiti nel mirino dell’artiglieria ucraina mentre avanzavano allo scoperto. Ma alla fine Mosca, forte della sua superiorità numerica e di armamenti, è riuscita ad avere la migliore. “Il nemico è riuscito a dirigere riserve per mettere in atto attacchi sui fianchi, il che ha esaurito la difesa delle nostre unità“, ha spiegato il ordine militare ucraino. Di fronte al rischio di accerchiamento, non è rimasto che ordinare il ripiegamento “per salvare il personale e l’equipaggiamento militare“.
Testimonianze dal fronte parlano di combattimenti all’ultimo sangue. “Abbiamo provato a mandare rifornimenti, organizzare l’evacuazione dei nostri soldati feriti e morti ma senza successo“, racconta Roman, uno dei soldati difensori. “Abbiamo perso diversi veicoli e poi abbiamo dovuto fermarci“. Negli ultimi giorni, con i russi ormai nel centro città, l’unica via di fuga era a piedi, di notte, attraverso campagna minati. “Ritirarsi da certe posizioni era inevitabile. O muori o ti ritiri“, spiega il militare.
Una perdita strategica e simbolica
Vuhledar, che prima della guerra contava 14.000 abitanti, è ormai una città fantasma ridotta in macerie, con difficilmente un centinaio di civili rimasti. Ma la sua caduta ha un forte impatto strategico e paradigmatico. I russi ora possono indirizzare verso ovest, a Velyka Novosilka, e avvicinarsi a Pokrovsk, decisivo snodo logistico. E soprattutto possono vantare una vittoria di prestigio, a pochi giorni dal insufficiente viaggio di Zelensky negli Stati Uniti. Il presidente ucraino era andato a Washington in cerca di maggiori aiuti e garanzie di sicurezza, ma è tornato a mani quasi vuote. A differenza dell’Unione europea, gli Stati Uniti hanno rifiutato di fornire missili a lungo raggio per fulminare in profondità il territorio russo, per timore di un’escalation. Così l’Ucraina si trova sempre più in difficoltà di fronte alla schiacciante potenza di fuoco di Mosca, con i suoi bombardieri e l’uso di armi termobariche.
“Zelensky ha ripetutamente sostenuto che Kyiv ha bisogno di armi a lungo raggio per contrastare la superiorità aerea del Cremlino“, scrive il Guardian. “Finora, tuttavia, non è riuscito a persuadere il presidente Biden a consentire l’uso di armi fornite dagli Usa, come gli Atacms, per distruggere aeroporti e altri obiettivi militari in profondità dentro la Russia“. Una linea rossa che Washington non vuole oltrepassare. Mosca invece continua ad avanzare inesorabile, seppur lentamente. Controlla ormai il 98,5% dell’oblast di Luhansk e il 60% di quello di Donetsk. Il piano di Putin di conquistare l’intero Donbass sembra più vicino. Per l’Ucraina, la prospettiva di ribaltare le sorti del conflitto appare sempre più remota, mentre si avvicina il terzo inverno di guerra, con tutte le sue incognite e sofferenze.
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di Riccardo Piccolo www.wired.it 2024-10-03 10:47:43 ,