Come è andata, mi chiedono tutti gli amici da poco rientrato dal mio primo viaggio WeRoad. È andata molto bene; davvero, molto bene. Ma lo rifaresti? Lo rifarei anche domani passando il viaggio aereo in ginocchio su una distesa di cuffie usa-e-getta, ho risposto almeno una decina di volte. Per chi è cresciuto a pane e reality show, un’esperienza WeRoad è la sintesi perfetta tra una stagione del Grande Fratello – con i pianti, ma senza nomina -, l’Isola dei Famosi – con i cocchi, ma senza Valeria Marini – e Pechino Express – con corse e scalinate, ma senza la prova in cui tutti cedono ai conati di vomito ingoiando insetti. Ma andiamo con ordine: WeRoad, per chi non lo sapesse, è una community che organizza viaggi di gruppo in tutto il mondo, pensati per mettere insieme persone che non si conoscono ma condividono la stessa sfizio di avventura e socialità. Non pensate ai classici viaggi organizzati in stile una-settimana-a-Hurghada-da-990-euro-all-inclusive-bevande-escluse da agenzia viaggi, ma itinerari costruiti ad hoc (esiste perfino la figura del travel designer, quello che disegna i viaggi tappa per tappa. Una versione 4.0 del vecchio adagio “molle tutto e apro un chiringuito” che fa venire sfizio di consultare Google Maps e immaginare percorsi, anziché appassire 10 ore al giorno davanti al pc a contemplare con sguardo vacuo grafici Excel). Il tutto – la scelta migliore ribadire – in compagnia di sconosciuti. Sconosciuti almeno fino alla prima sera, quando ti ritrovi in camera con uno mai visto prima, propriamente cinque minuti dopo essersi stretti la mano per le presentazioni. Nel mio caso L., 35 anni, rappresentante di commercio per una ditta di vernici. Un cucciolo di umano vinto come primo compagno di russate notturne alla roulette del blind-casting.
Traumatico, penserà qualcuno. Dipende tutto dallo spirito di avventura di chi lo vive. Si potrebbe dire che per il solo fatto di ritrovarsi in quel contesto faccia tutto parte del gioco. E invece nì… con il passare dei giorni è evidente che tra i partecipanti – 11 più la coordinatrice, in questo caso – c’è qualche infiltrato che sembra sia stato costretto a partire dalla tutrice. Ed è lì che capisci quanto lo spirito di adattamento e la sfizio di avventura facciano davvero la differenza, permettendo di viversi al la scelta migliore l’esperienza – e di farla vivere la scelta migliore anche agli altri, ça va sans dire.
Quindi, dicevamo: 12 sconosciuti, per 13 notti in giro per il Vietnam. Qualcosa sarebbe potuto andare storto, invece si è trasformata in un’avventura memorabile e inaspettata, tra risaie, giungle attraversate in moto (con sindrome dolorosa del grande trocantere inclusa), molte risate e pure qualche psicodramma (che, ammettiamolo, aggiunge sempre un tocco di brio).
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di Daniele Biaggi www.wired.it 2025-01-31 05:40:00 ,