Le storie raccontate nel documentario restituiscono anche al pubblico fiducia sui progressi della ricerca nella lotta al cancro, che resta però una malattia che fa paura. Nel corso della vita circa un uomo su 2 e una donna su 3 si ammalerà di tumore: guariremo però, in proporzione, tutti di più? “Sicuramente è un evento che sta diventando più comune, per esperienza diretta o indiretta entriamo in contatto nella nostra vita con questa realtà. Allo stesso tempo quello che la ricerca ha fatto, in questi anni, è fornire conoscenza su questa malattia e quindi toglierla dall’androne di paura in cui l’avevamo relegata. Può essere un incidente del percorso di vita, non è detto che la incontreremo ma abbiamo gli strumenti per affrontarla dal punto di vista delle cure e dal punto di vista emotivo e questo lo si deve al lavoro dei ricercatori che hanno acceso luce sui meccanismi ma anche sull’acquisizione di consapevolezze. Se le cose si conoscono fanno meno paura”.
Comunicare il lavoro dei studiosi contribuisce alla creazione di un patto di fiducia tra comunità scientifica e società civile ma rilancia anche il tema dell’importanza dei finanziamenti alla ricerca: “Uno immagina il percorso della ricerca come ideale, in realtà la ricerca prevede più fasi, c’è una ricerca di base, una traslazionale, una clinica: ognuna ha una sua rilevanza, ha i suoi tempi e sue difficoltà. La ricerca di base è quella che ha più possibilità di sbagliare, proprio perché si muove in un territorio oscuro, ha tempi più lunghi e obiettivi più incerti ma ha passaggi fondamentali. Prima o poi finiremo di usare le conoscenze che abbiamo, e quindi è il momento di dirlo forte, dobbiamo scommettere sulle idee e sostenere quella fase che non produce prodotto immediato ma ci permette di avere la consapevolezza per agire successivamente in maniera efficace”, conclude Ciarrocchi.
Why Me è parte del progetto di Fondazione Airc Wonder Why, che punta su una visione positiva e costruttiva della scienza e della ricerca, per incentivare la conoscenza, lo stupore e quindi la bellezza. Il documentario è stato scritto e diretto da Alessandro Merletti De Palo e Giovanni Caloro: come hanno bilanciato divulgazione ed emozione e quindi le diverse anime del racconto? Rispondono a Wired i registi: “Abbiamo cercato di unire cose molto diverse, perché la vita è fatta di cose diverse e complesse. L’approccio con la scienza è stato di grandissimo rispetto e amicizia, abbiamo creato un ponte umano tra conoscenze che volevamo profondamente rispettare. Ci siamo incontrati nella cura per i dettagli, per i particolari, per il linguaggio. In fase di scrittura è emersa la domanda del titolo. Lo spettacolo originario infatti parlava della storia della vita e del Dna. La domanda autoriale che ci siamo fatti è su questo paradosso: dalla scienza vogliamo le risposte ma anche che non determini troppo il tutto. Il tema era quindi l’identità e siamo scesi nelle storie di ognuno di noi”.
Il documentario arriva al pubblico dopo un progetto lungo, quasi “architettonico”, con la gestione di agende diverse, “lo stesso Telmo Pievani ha un’agenda complicata come quella di Sermonti. I protagonisti della scienza hanno una vita piena come quelli dello spettacolo”. La domanda Why Me potrebbe anche evolvere in un potenziale Why Us (Perché Noi), continuando quindi il percorso di racconto e indagine: “Oltre all’individuo c’è la comunità, il nostro noi/us sta affrontando due anni di pandemia, una guerra anacronistica e come comunità ci stiamo conoscendo, lo stesso percorso che fa l’essere umano lo fa la comunità. Possiamo continuare a usare il termine Why, continuare a investigare, sono pochi i casi in cui associ lo spettacolo a un Premio Nobel o a un divulgatore scientifico: questi esperimenti sono embrioni per nuove cose”.
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di Maria Rosaria Iovinella www.wired.it 2022-04-06 13:44:21 ,