Nell’immediato futuro dell’economia americana non c’è alcuna recessione, perché la crescita proseguirà nonostante la crisi delle banche che ormai sembra alle spalle. La segretaria al Tesoro Janet Yellen infonde ottimismo nelle prospettive della prima economia mondiale e prova a dissipare i timori di chi si aspetta conseguenze lunghe e pesanti dai fallimenti di Silicon Valley bank e Signature Bank. «Continuo a prevedere che l’economia americana crescerà, che il mercato del lavoro rimarrà solido e che l’inflazione scenderà», ha detto Yellen in un’intervista.
A molti osservatori è suonata come una risposta alla previsione di qualche giorno fa dell’amministratore delegato di JPMorgan, Jamie Dimon, secondo cui la crisi delle banche «non è finita e, anche se alle nostre spalle, avrà ripercussioni per anni». Ma Yellen rassicura anche su quel fronte: «Il nostro sistema bancario è solido e resiliente, con capitale e liquidità forti», e in ogni caso le istituzioni «sono preparate a usare tutti gli strumenti necessari per istituzioni di qualunque grandezza», ha ribadito.
Il quadro, però, non è ancora così chiaro da cantare vittoria. Se è vero che nelle ultime settimane sui mercati è tornata la calma e gli investitori hanno ricominciato a dare fiducia anche al settore bancario, i dati economici in arrivo non danno troppe certezze. Il mercato del lavoro in Usa a marzo ha frenato per il secondo mese consecutivo ma non abbastanza, secondo gli analisti, per convincere la Federal Reserve a fermare il percorso di rialzi dei tassi già nella prossima riunione di maggio.
Dopo l’aumento di 25 punti base deciso a marzo, che ha portato il costo del denaro ai massimi dal 2007, la Fed potrebbe quindi proseguire sulla stessa strada, inasprendo ancora di più le condizioni del credito per famiglie e imprese. La stretta, unita alle difficoltà delle banche che per proteggersi limiteranno i prestiti, potrebbe però rischiare di compromettere il delicato equilibrio che tiene in vita la crescita durante la fase di rialzo dei tassi.
La recessione non è quindi uno scenario completamente infondato perché il clima resta estremamente incerto: secondo uno studio di Unimpresa, ad esempio, se la crisi finanziaria negli Usa proseguisse, si trasformerebbe in una recessione della durata di tre anni sia per l’Eurozona che per gli Stati Uniti, con questi ultimi a pagare il conto più salato (-0,6% contro il -0,3% della zona euro).