di Robin Andrews
Questo fenomeno è noto come meteotsunami. Anche se in passato era stato rilevato sotto potenti tempeste, questa potrebbe essere la prima volta che un vulcano ne causa uno in un altro bacino oceanico. Ma nonostante sia possibile che abbia inciso in minima parte, gli scienziati al momento non si stanno concentrando sull’onda d’urto, ma piuttosto sulle trasformazioni subite dal vulcano, come il principali sospettati del grave tsunami di Tonga.
Ma di preciso, come è stato generato lo tsunami? Se si fosse trattato del crollo di un versante del vulcano, i detriti rocciosi sott’acqua si muoverebbero in un’unica direzione, lontano dal fianco ormai caduto del vulcano. Se fosse stato l’intero vulcano a collassare su se stesso dopo che le sue fondamenta magmatiche erano state rapidamente espulse lungo il suo condotto, allora ci si potrebbe aspettare un anello di detriti distribuito intorno al suo perimetro, probabilmente con una quantità maggiore di detriti in una direzione se il crollo fosse stato asimmetrico. Un’esplosione subacquea, invece, a seconda che fosse incanalata in un’unica direzione o più diffusa , potrebbe essere rappresentata da entrambi questi schemi di distribuzione dei detriti.
L’unico modo per scoprirlo, he spiegato Mitchell, è andare a vedere. Diffondere onde acustiche da da dalle barche fino a raggiungere il vulcano, magari usando piccoli esplosivi o pistole ad aria compressa, e successivamente raccoglierne i riverberi, può indicare agli scienziati le dimensioni e le proprietà delle rocce sottostanti. In questo modo è possibile tracciare una mappa del vulcano dopo l’eruzione che, confrontata con le mappe precedenti, può rivelare come il vulcano ha cambiato forma o se si è formata una nuova apertura su un suo versante. Per scandagliare il fondale potrebbero essere impiegati anche dei veicoli subacquei robotici, sia quelli controllati a distanza da un pilota che i sommergibili completamente autonomi, che non richiedono alcun input umano.
Oltre alle indagini sottomarine, saranno fondamentali le boe e i sistemi di misurazione costieri che hanno rilevato l’altezza delle onde dello tsunami e i tempi di arrivo dall’altra parte dell’Oceano Pacifico. Una volta raccolti, questi dati potranno essere inseriti in modelli informatici per cercare di ricreare lo tsunami. Nel caso in cui una simulazione dovesse corrispondere allo schema dei detriti sottomarini, allora i ricercatori potranno ricostruire con certezza l’evento vulcanico che ha causato lo tsunami reale.
Collaborazione internazionale
I dati preliminari del satellite forniscono alcune indicazioni preliminari: “Credo che forse la caduta di un’enorme caldera non sia la risposta“, ha detto Cronin. Le due isole di Hunga Tonga e Hunga Ha’apai non sembrano essere affondate molto dopo l’eruzione, il che suggerirebbe che il vulcano non sia completamente crollato. Sul fondo del mare ci sono anche molti detriti vulcanici, creati da eventi di portata simile ma molto più antichi della recente esplosione. Questo implica che, se anche se ci fosse stata una massiccia esplosione sopra la superficie dell’acqua, gran parte di quell’esplosione potrebbe essere avvenuta sott’acqua. Se così fosse, potrebbe aver spinto grandi quantità di detriti vulcanici – paragonabili al volume proiettato nel cielo – verso il mare, innescando uno tsunami. Ma fino a quando non saranno svolte le ricerche sul campo, una conclusione definitiva rimane lontana. Per il momento ,”ci sono molte perplessità“, ha raccontato Cronin.
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www.wired.it
2022-01-30 06:00:00