Quasi 70mila persone nel nostro paese sono morte prematuramente nel 2020 a causa dell’inquinamento. Si tratta di oltre un quarto dei 311mila che in quell’anno hanno perso la vita nell’Unione europea per aria contaminata oltre i livelli stabiliti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Siamo sul podio per decessi – in numeri assoluti – imputabili a tutte le sostanze contaminanti, secondo il rapporto “Qualità dell’aria 2022” dell’Agenzia europea per l’ambiente. La causa principale dei decessi sono le polveri Pm 2.5: il particolato sottile con diametro inferiore alle Pm 10, emesse da automobili industrie e riscaldamento.
Con oltre 52.300 vite portate via nel 2020, l’Italia è prima in numeri assoluti per le decessi da Pm 2.5 nei 32 Paesi europei considerati. Arriviamo secondi solo alla Turchia (che ci batte per un migliaio di decessi) per le 11.200 vite accorciate da quantità eccessive di No2 – il biossido di azoto, prodotto da tutti i processi di combustione, dai motori diesel alle centrali termoelettriche. Restiamo in cima al podio anche per i 5.100 decessi causati dall’ozono (O3) – gas dall’odore pungente che si forma attraverso reazioni favorite dalla radiazione solare, in presenza di inquinanti “precursori” come ossidi di azoto (Nox).
Incentivi all’inquinamento
“Le politiche per la qualità dell’aria falliscono da anni per mancanza di volontà politica, visto che gli interventi che si dovrebbero fare sono noti”, afferma Anna Gerometta, presidente dell’associazione Cittadini per l’aria, che ha appena lanciato la campagna “No2, no grazie” per coinvolgere i cittadini nella misurazione degli inquinanti a Roma e Milano. “Dovremmo ridurre il traffico nelle città e disincentivare gli impianti di riscaldamento a legna e biomasse nei piccoli centri” afferma Gerometta “al contrario, gli incentivi all’inquinamento Proseguono, nonostante la Commissione europea abbia avviato contro l’Italia una procedura di infrazione per superamento dei limiti di Pm 2.5 e ci siano state due condanne per biossido di azoto e una per le Pm 10”. Dopo che il governo Meloni ha rinnovato gli incentivi per abbassare il prezzo dei carburanti introdotti dal governo Draghi, proprio in questi giorni esponenti di diverse forze politiche – Lega, M5S e IV – chiedono la riduzione dell’Iva sul pellet dal 22 al 5%.
Il legame tra inquinamento e disabilità
Lo studio “La qualità dell’aria in Europa” evidenzia come l’inquinamento dell’aria non solo accorcia la vita ma la peggiora, provocando disabilità permanenti, affermando che “a causa dell’esposizione al particolato 2.5 nel 2019 sono stati vissuti 175.702 anni con broncopneumopatia cronica ostruttiva”, una malattia dell’apparato respiratorio che provoca un’ostruzione irreversibile delle vie aeree. Nella classifica degli anni vissuti con questa disabilità da adulti di età pari o superiore a 25 anni per 100.000 abitanti, l’Italia è quinta su 30 paesi europei dopo Serbia, Lituania, Croazia e Ungheria. Nello stesso anno, l’esposizione a No2 ha portato a 175.070 anni vissuti con disabilità dovuta al diabete mellito (noto anche come diabete di tipo 2) in 31 paesi europei. Per questa patologia l’Italia è settima, dopo Turchia, Cipro, Greci, Spagna, Germania e Serbia. Sempre nel 2019, 12.253 persone in 23 paesi europei sono state ricoverate in ospedale con infezioni delle vie respiratorie inferiori derivanti dall’esposizione acuta all’ozono. “Il numero assoluto più alto di ricoveri ospedalieri è stato stimato per l’Italia (3.059) e il numero più basso per l’Islanda (meno di 10)” si legge nel rapporto.
La legna a pellet
L’inquietante primato italiano per decessi da inquinamento dell’aria, è stato anticipato dallo studio “Costi sociali e sanitari da inquinamento dovuto a riscaldamento domestico” pubblicato a marzo dall’Epha (European Public Health Alliance). Dal dossier – che ha esaminato l’impatto di sette inquinanti atmosferici (Pm 2.5, Nox, Nh3, Soe, Co, Ch4 e Covnm) nell’UE27+Regno Unito nel suo insieme – è emerso che “le famiglie in Polonia e in Italia devono far fronte a costi sociali sanitari superiori alla media dell’Unione Europea, principalmente a causa dei combustibili utilizzati per il riscaldamento domestico”. In Italia, in particolare, le stufe a legna sono le principali responsabili dell’inquinamento atmosferico: “Sebbene rappresentino il 35% del consumo totale di energia finale da parte delle famiglie, coprono l’84% dei costi sanitari totali nel Paese”. Tradotto in termini economici questo significa che l’Italia paga i costi sanitari da inquinamento domestico per 4,7 miliardi di euro ogni anno, record nell’Ue a 27 + Regno Unito, che raggiunge nel complesso di costi sanitari per 29 miliardi.
“Di tutte le fonti di produzione di calore, la combustione domestica su piccola scala di legna e carbone è la causa di inquinamento da Pm 2.5, No2 (biossido di azoto) e ozono che provoca i costi sanitari più elevati” conferma lo studio “Dove c’è fuoco, c’è fumo” realizzato dall’European Environmental Bureau – organizzazione che raccoglie 180 associazioni ambientaliste in 38 Paesi europei. “Sebbene le nuove stufe e caldaie a legna e pellet emettano effettivamente meno particelle rispetto ai precedenti modelli di stufe/caldaie, questi modelli più recenti di stufe/caldaie inquinano ancora molto di più rispetto ad altri metodi di produzione di calore disponibili” afferma il dossier, che raccomanda “l’interruzione dell’uso della combustione a legna su piccola scala per incentivare invece invece un migliore isolamento, il teleriscaldamento nelle città e le pompe di calore al di fuori dei centri urbani”. Tuttavia in Italia le stufe a pellet beneficiano da oltre un decennio di incentivi all’acquisto, tra cui l’ecobonus, che hanno reso il nostro Paese il maggiore consumatore al mondo di questo combustibile legnoso, per uso domestico.
Lo studio dell’Istituto Nazionale Tumori alla periferia di Milano
“La concentrazione di massa totale di Pm 2.5 è risultata significativamente più elevata in inverno (71,82 ± 4,17 μg/m3) rispetto all’estate (16,67 ± 0,27 μg/m3), principalmente a causa delle maggiori emissioni di combustione della biomassa legnosa”: è quanto afferma lo studio “L’impatto della combustione di biomasse sul potenziale ossidativo del Pm 2.5 nell’area metropolitana di Milano” realizzato da ricercatori dell’Istituto Tumori di Milano in collaborazione con l’associazione Isde – Medici per l’Ambiente, che ha raccolto campioni di Pm 2.5 su filtri al quarzo durante la stagione fredda (dicembre 2018-febbraio 2019) e calda (maggio 2019-luglio 2019) nel Comune di Bareggio, a circa 14 km a nord-ovest del centro di Milano. “L’aumento delle attività di combustione della biomassa durante il periodo invernale ha portato anche a concentrazioni molto elevate di idrocarburi policiclici aromatici (72,81 ± 16,59 ng/m3), oltre 150 volte superiori ai valori del periodo caldo (0,40 ± 0,07 ng/m3)”. Lo studio conclude sollecitando “efficaci politiche di mitigazione mirate a queste emissioni”.
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di Ludovica Jona www.wired.it 2022-12-04 06:00:00 ,