Bardo, la cronaca falsa di alcune verità è il nuovo affascinante, e di pregiata fattura, film di Alejandro González Iñárritu, ora disponibile su Netflix.
Tre ore intense che scavano a fondo sulla vita di Silverio Gama, un noto giornalista e documentarista messicano che fa ritorno in patria e affronta una crisi esistenziale mentre si districa tra la sua identità, i legami familiari e il flusso onirico dei suoi ricordi.
L’immaginazione si mescola con la realtà, creando un mondo che rielabora lo spazio e il tempo nella narrazione di momenti di vita, ricordi, fantasie e fantasmi interiori del protagonista.
Una cronaca di incertezze
Sono inquadrature catartiche quelle di Bardo, in grado di trasportare lo spettatore nella fervente fantasia del regista messicano.
Attraverso le immagini plastiche e i dialoghi attentamente studiati, si palesa un’interiorità profondamente angosciata in continuo scontro con l’esterno.
Un delirio individuale che si fa non solo narrazione ma anche storia di una Paese, lasciando trapelare un tratto volutamente biografico dell’autore.
Si può dire che Iñárritu sia felliniano, perché sceglie di portare sullo schermo il proprio vissuto e di farlo emergere in modo onirico attraverso i personaggi. Riportandoci con la mente ad Amarcord, per gli aspetti più corali e circensi delle scene, e ad 8 ½, per la rappresentazione di quel senso di smarrimento che coglie il protagonista.
I colori vividi e densi, quasi fossero tempere ad olio su una tela, rimandano invece alle stravaganti pellicole di Wes Anderson. Viene in mente Grand Budapest Hotel con le sue scenografie ricche e vivaci, che donano effervescenza a tutti gli elementi della quotidianità.
La fotografia eccelsa, degna davvero di nota, non è fine a sé stessa ma offre numerosi spunti di riflessione in merito all’esistenza e ai dubbi che affollano la mente di ogni essere umano.
Un’opera che stimola la visione perché si tratta di un’esplorazione coraggiosa e allegorica all’interno di un io frastagliato e tormentato. Un’allucinazione disinvolta che innesca nel fruitore quel meccanismo di sforzo cognitivo e di attenzione costante che dovrebbe richiedere sempre la visione di un film.
Questo rafforza la complessità di analisi delle scene in cui il significato della stessa non è un mistero custodito nei suoi dialoghi, ma un’interazione tra questi e le possibili relazioni che fanno interagire la sequenza con chi la fruisce e con il contesto in cui avviene l’analisi.
Messico e nuvole
Inizialmente questa successione visionaria di momenti di vita e immaginazione, seppur bellissima, sembra casuale e caotica. Ma verso metà del film riusciamo ad unire tutti gli elementi del puzzle e a comprendere il senso del racconto, che sta poi nella sua ricerca.
Mentre Silverio cerca di dare un senso alla sua storia e alla storia del Messico, analizzando il passato e ricollegandolo al presente, scopre che la memoria manca di verità, perché è solo dettata dall’emotività.
“La vita è un tumulto di immagini, ricordi, frammenti di istanti, annodati insieme” dice ad un certo punto, rivelando il fulcro dell’intera pellicola.
Ed è così che inizia un ballo liberatorio attraverso cui Silverio si dissocia dal contesto circostante e dal quale ne esce cambiato. Rompendo ogni remora sui vecchi pregiudizi paterni, secondo cui gli uomini duri non ballano.
Proprio questa condizione di dualità tra il suo vissuto passato e il suo presente lo ha portato a sentirsi sempre in bilico, tra ciò che è stato e ciò che è.
Silverio è sdoppiato tra l’amore per la patria e il distacco da essa a causa della corruzione diffusa, dell’arretratezza e delle contraddizioni intrinseche nella cittadinanza.
Questo film ci ricorda le parole che cantava Jannacci “Messico e nuvole, la faccia triste dell’America”, con un’accezione nostalgica e amara. Il Messico, pur essendo tra i luoghi più affascinanti del mondo, è un Paese ricco di contraddizioni, dove la bellezza convive con la povertà, la magia mistica dei ruderi precolombiani con la violenza delle strade dei quartieri di periferia.
Ecco che si dipana un pattern tematico molto sentito che riguarda la storia del Messico, con immagini di quotidianità e di natura, ma soprattutto attraverso le parole di Ocatvio Paz e Hernán Cortés.
Realtà e fantasia
Il discorso, però, si fa ampio e include anche la riflessione sulla vecchiaia, sul rapporto genitori-figli, sul legame con la terra natìa e sull’impatto con il successo.
Come in un flusso di coscienza, il regista sviscera molte questioni intime e le attribuisce al suo giornalista/documentarista, riprendendo quello stile cinematografico di Sorrentino in È stata la mano di Dio.
Utilizzando, cioè, il cinema come mezzo per auto analizzarsi e per curare le proprie inquietudini.
ll lato oscuro e più recondito del protagonista si disvela nel susseguirsi delle diverse tematiche affrontate, coniugando situazioni corali di euforia a momenti di sofferto isolamento interiore. Un effetto montagne russe che fa mette in risalto, talvolta, le proiezioni mentali di Silverio e, altre volte, il caos o il vociare esterno.
Quando il rumore dei pensieri sovrasta quello della realtà, le immagini diventano surreali, lasciando il protagonista attonito e pensoso. Le percezioni personali distorcono la realtà, ma quando arriviamo alla fine del racconto tutto assume significato.
Quando Silverio è in coma incontra sé stesso, per un attimo si ritrova, annullando la scissione intrinseca che da sempre lo attanagliava.
Un ombra fluttua in volo sovrasta il terreno arido del Messico fino a perdersi, chiudendo una scena finale che riprende quella iniziale.
Dieci su dieci a questo stupendo flusso di coscienza, tra Messico e nuvole!
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di Veronica Cirigliano
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2022-12-22 12:11:56 ,