“Il fondo giocherà un ruolo chiave nel veicolare risorse nuove, adeguate, addizionali e prevedibili per i Paesi in via di sviluppo e catalizzerà la finanza climatica, sia pubblica che privata, e a livello internazionale e nazionale”. L’approccio potrebbe essere country-driven (cioè con contribuzioni individuali da parte dei singoli Paesi o destinati ai singoli Paesi? Non è chiaro), “flessibile” e “scalabile” e sarà un’istituzione che “apprenderà di continuo”, sottoposta a processi di monitoraggio e valutazione.
“Il fondo cercherà di massimizzare l’impatto delle proprie risorse in termini di adattamento e mitigazione, cercando un bilanciamento tra le due, promuovendo nel contempo co-benefici ambientali, sociali, economici e di sviluppo, con un approccio gender sensitive”. Interessante il riferimento alla questione di genere: è stato rilevato più volte che il cambiamento climatico colpisce in maniera particolare le donne.
Secondo la bozza trapelata, il board di controllo (il direttivo) sarà composto da 24 membri, composto in egual numero da Paesi sviluppati e in via di sviluppo, ma anche da aggregazioni regionali rilevanti e rappresentanti delle piccole isole e degli Stati meno sviluppati. “Aggregazioni regionali rilevanti”, è espressione poco chiara, che potrebbe includere gruppi negoziali fluidi come il G77, ma di cui probabilmente si è lasciato volutamente indefinito il senso.
Ogni membro avrà un membro alternativo a supporto, privo questo di diritto di voto (tranne in casi particolari), una scelta determinata dalla necessità di allargare la rappresentatività e consentire di seguire la discussione a Paesi dotati di particolari competenze su tempi specifici. La ragione va individuata nel fatto che nelle negoziazioni internazionali piccoli Stati particolarmente attivi (pensiamo a Barbados, con la premier Mia Mottley) si confrontano con superpotenze dotate di personale abbondante formato nelle migliori università, e perdersi tra i sofismi innescati dalle volpi della diplomazia – uno su tutti: John Kerry, inviato per il clima di Biden – è molto, troppo facile. I membri saranno eletti a livelli regionale con mandato di tre anni, rinnovabile.
Le decisioni saranno prese dal board per consenso, senza cioè conteggio dei voti, meccanismo in vigore anche alle Cop che evita per quanto possibile blocchi ostruzionistici. Il quorum di presenza per validare le riunioni è di due terzi dei componenti. Ammessi a partecipare alle assise anche due membri della società civile e due del settore privato, divisi a metà tra mondo industrializzato e non. Il Fondo sarà gestito da un amministratore fiduciario che dovrà essere dotato delle necessarie competenze.
Gli input finanziari
Si arriva al nodo dei soldi. “Il fondo riceverà input finanziari dai Paesi sviluppati sulla base di contribuzione volontarie da parte dei Paesi in via di sviluppo” si legge. Potrà, però, ricevere anche ricevere denari da una varietà di altre sorgenti, pubbliche e private, incluse quelle “alternative” Termine volutamente ambiguo, il cui significato potrebbe essere chiarito al vertice per il nuovo patto per il finanziamento globale, in programma a Parigi il 23 e il 24 giugno. L’accesso alle risorse, recita la bozza, sarà semplice e “incoraggerà il coinvolgimento degli stakeholder rilevanti, inclusi i gruppi vulnerabili e affrontando le questioni di genere”. L’obiettivo è “diventare il principale fondo globale per la finanza climatica”.
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di Antonio Piemontese www.wired.it 2023-05-21 15:00:00 ,