Fino all’arrivo degli europei, la gente aborigena degli Yindjibarndi viveva lungo la zona centrale della valle attraversata dal fiume Fortescue, nella regione del Pilbara, in Australia. Una lingua di territorio arido e poco popolato nella zona centro-occidentale del Paese conosciuta per il caratteristico colore rosso della terra che la ricopre e i vasti depositi di minerali. A partire dal 1860 i pastori stabilirono allevamenti di bestiame nella loro terra natale, e gli Yindjibarndi furono ammassati in nuovi insediamenti. Oggi la maggior parte di loro è riunita intorno alla città costiera di Roebourne, un’area ambita dalle compagnie energetiche perché vicina alle principali infrastrutture di trasmissione elettrica.
È anche da questa condizione che è nato lo storico accordo siglato dal colosso filippino Acen Corp e dalla Yindjibarndi Aboriginal Corp, consolidato con la nascita della Yindjibarndi Energy Corporation (Yec), società che avrà il compito di portare avanti importanti progetti di energia rinnovabile nell’area in cui il popolo aborigeno si è visto riconoscere dalle autorità statali i diritti di proprietà nativi esclusivi. La leadership dello Yec comprende il direttore e presidente nominato dall’Acen, Anton Rohner, e un direttore nominato dagli Yindjibarndi, Craig Ricato, con ruoli paritari. Si tratta di una partnership storica che apre la strada a una rivoluzione energetica a partire dal cuore minerario dell’Australia, ma che soprattutto coinvolge attivamente le comunità indigene in iniziative simili, riconoscendole non più come entità da marginalizzare o sfruttare ma come risorsa vista la loro conoscenza radicata sul territorio.
Il contenuto del patto
Come parte dell’accordo, la Yindjibarndi Aboriginal Corp riceverà una quota di partecipazione dal 25% al 50% in tutti i progetti e sarà tenuta ad approvare qualsiasi costruzione da realizzarsi nell’area di sua competenza. Le aziende di proprietà del popolo Yindjibarndi saranno inoltre avvantaggiate nei contratti di appalto e i membri della comunità riceveranno formazione e nuove opportunità di lavoro.
L’Acen e il popolo aborigeno svilupperanno congiuntamente progetti eolici, solari e di accumulo di energia rinnovabile in un’area di circa 13mila chilometri quadrati: in primo luogo hanno in programma di costruire 750 MW di impianti in sistemi combinati rinnovabili, con un investimento da 1 miliardo di dollari australiani (680 milioni di dollari americani), mentre nelle fasi successive avranno come obiettivo altri 2-3 GW di energia verde. Kane Thornton, amministratore delegato del Clean Energy Council australiano, l’ente di riferimento per la transizione energetica del Paese, ha affermato che “l’accordo tra il popolo Yindjibarndi e Acen stabilisce un nuovo punto di riferimento per una partecipazione significativa degli indigeni australiani al passaggio verso un futuro di energia pulita”.
Il precedente contro Fortescue Metals Group
Le sue parole non arrivano a caso. In passato infatti gli Yindjibarndi avevano fatto partire una lunga battaglia legale contro Fortescue Metals Group, quarto produttore di minerale di ferro al mondo, accusando il colosso di aver avviato i lavori di estrazione senza un accordo appropriato sull’uso del suolo. Nel 2017, una sentenza del tribunale federale australiano ha conferito al popolo Yindjibarndi diritti esclusivi di titolo nativo sul territorio in cui sorgeva un hub estrattivo di proprietà di Fortescue. Il gigante minerario aveva iniziato a estrarre nel 2013, senza mai cercare un’intesa con gli aborigeni.
Ad oggi ha esaurito tutte le vie legali di ricorso, con l’Alta Corte che nel 2020 ha negato alla società il permesso speciale di presentare nuove istanze e ha confermato una precedente decisione del tribunale federale che le impedisce di lavorare nell’area senza permesso. Conflitti simili hanno caratterizzato la storia dell’Australia, nonostante le popolazioni indigene rappresentino più del 3% degli abitanti complessivi del Paese. A marzo il presidente australiano Anthony Albanese ha avviato una campagna affinché la Costituzione del Paese tuteli i loro interessi istituendo per loro un organo di rappresentanza permanente in Parlamento. La questione verrà affrontata con un referendum che dovrebbe tenersi entro la fine del 2023.
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di Massimiliano Cassano www.wired.it 2023-08-20 04:30:00 ,