La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza è sempre più grave: dopo la breve tregua delle scorse settimane, ora che l’invasione israeliana è ripresa e che sono ricominciati con sempre maggiore intensità i bombardamenti, i civili palestinesi sono in condizioni disperate. Mancano cibo, acqua, medicinali e tutte le più basilari forme di sostentamento per la vita quotidiana. A questa situazione si aggiunge una rapida crescita della diffusione di malattie epidemiche tra la cittadinanza, che vive ormai in condizioni sanitarie critiche, spesso in strada e senza accesso ad acqua pulita.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha segnalato almeno 369mila casi di malattie infettive dall’inizio della guerra, mettendo insieme dati raccolti dal ministero della Salute di Gaza (controllato da Hamas) e dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA). Shannon Barkley, a capo dell’OMS in Cisgiordania, ha raccontato al New York Times che questa cifra non rende l’idea di quanto possa essere grave ed estesa la diffusione delle malattie: non tiene infatti conto dei casi del nord della Striscia di Gaza, dove i bombardamenti israeliani hanno distrutto gran parte degli edifici, comprese le strutture mediche.
Barkley ha spiegato che le malattie più comuni sono le infezioni respiratorie, dal semplice raffreddore alla polmonite, ma persino le malattie apparentemente più innocue possono causare gravi problemi per i civili palestinesi – in particolare i bambini, gli anziani e gli immunodepressi – a causa delle pessime condizioni sanitarie in cui vivono. Samah al-Farra, una donna di 46 anni madre di 10 figli ha raccontato che da giorni lei e la sua famiglia dormono in strada, dopo aver dovuto lasciare la propria casa a Khan Yunis, e che tutti i suoi figli hanno la febbre alta e virus intestinali. Al-Farra ha raccontato che da giorni la sua figlia più piccola, Hala, di 6 anni, non ha neppure più la forza per chiedere del cibo: «Prima implorava più cibo, ma ora non riesce più a ingoiare nulla».
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Da giorni decine di migliaia di civili palestinesi stanno fuggendo da Khan Yunis, la principale città del sud della Striscia di Gaza, dove è in corso la seconda fase dell’invasione dell’esercito israeliano. Dopo aver invaso il nord della Striscia, Israele sta concentrando la sua presenza militare a sud, dove ritiene siano nascosti alcuni dei principali capi di Hamas e dove l’esercito pensa che siano tenuti gli ostaggi che non sono stati liberati nei giorni di tregua delle scorse settimane.
L’invasione è accompagnata da bombardamenti intensissimi, e i civili palestinesi non sanno più dove scappare. La maggior parte si sta dirigendo verso Rafah, la città al confine con l’Egitto che è anche sede dell’unico varco di frontiera attivo tra Israele e l’estero.
In questa parte di territorio si erano già ammassati circa 2 milioni di civili palestinesi che erano fuggiti dal nord, quando a fine ottobre Israele aveva cominciato l’offensiva. Ora i civili non hanno nessun territorio in cui scappare: nel nord c’è l’esercito israeliano, a ovest il mare è controllato dalle navi militari israeliane e a sud il varco di Rafah è chiuso.
Nei giorni scorsi il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres aveva detto di temere che l’invasione israeliana potesse causare un trasferimento di massa di civili palestinesi in Egitto, il cui governo però è a sua volta contrario ad accogliere così tanti profughi. Il commissario generale dell’UNRWA Philippe Lazzarini era stato ancora più duro, e aveva accusato esplicitamente il governo israeliano di spingere con la forza gli abitanti di Gaza sempre più vicino al confine con l’Egitto con l’obiettivo di farli andare via dalla Striscia. Lunedì il governo israeliano ha risposto definendo questa accusa «oltraggiosa e falsa». Il ministero della Difesa Yoav Gallant ha detto poi che l’esercito non ha intenzione di rimanere permanentemente nella Striscia e che è aperto a discutere alternative su chi dovrebbe controllare il territorio quando sarà sconfitto Hamas.
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2023-12-12 06:00:45 ,