Un addio in video. Ron DeSantis, un tempo considerato il candidato con le migliori chance di spodestare Donald Trump dal dominio sul partito repubblicano, ha gettato la spugna, ponendo fine a quella che invece di una corsa verso la nomination alla Casa Bianca è diventata la parabola di uno spettacolare fallimento politico. Lo ha fatto con un messaggio registrato, dietro un sorriso forzato che ha cercato di nascondere l’umiliazione ma non ha potuto celare la delusione.
Certo non ha mascherato il significato del suo abbandono: un rafforzamento di Donald Trump, che DeSantis si è affrettato ad appoggiare con ardore e dimenticando ogni acrimonia, definendolo un leader “nettamente superiore” per la Casa Bianca rispetto all’attuale Presidente democratico in cerca di rielezione Joe Biden.L’altra, immediata conseguenza è stata trasformare la sfida per la nomination conservatrice in uno scontro a due: l’unica rivale interna è rimasta l’ex ambasciatrice all’Onu ed ex governatrice della South Carolina Nikki Haley.
Ha anche e forse soprattutto chiarito meglio i contorni delle due strategie rimaste a confronto, quella da anni ascendente incarnata dal populismo radicale di destra di Trump e quella più moderata cui presta oggi il volto Haley, in cerca di riscatto dopo anni in affanno e e ritirata nel partito. Ci sono, tra i due, toni da scontro personale: con Trump che liquida Haley come debole e troppo progressista (quando non straniera, sfoderando venature razziste quando fa riferimento alle origini indiane della sua famiglia). E con Haley che cita invece, accant alle amicizie pericolose di Trump con i dittatori, le sue ripetute gaffe quale segno di diminuite capacità cognitive con l’età che avanza. Ma soprattutto ci sono due approcci: quello appunto di Trump, con DeSantis accodato, che evoca apertamente venature autoritarie e promesse lo “stato amministrativo”. E quello di Haley, che pare sforzarsi di resuscitare un’immagine più flessibile e “normale” del partito, corteggiando anche elettori indipendenti.
Nelle ultime ore Haley si è spinta a criticare Trump e Biden come “egualmente pessimi per il Paese”.L’interrogativo di fondo, per Haley: se la presa di Trump sul partito e la base a lui fedele sia già da tempo troppo forte. E se lei abbia aspettato troppo a sfidarla davvero, ad affilare le critiche a Trump, proprio per timore di alienare militanti repubblicani considerati necessari ad essere competitivi per la nomination.
La prima e forse ultima prova incalza: domani, martedì, alle primarie del New Hampshire.Non potrebbe esserci terreno sulla carta più favorevole a Haley: l’elettorato dello stato del New England è da sempre ritenuto ricco di indipendenti, fino al 40% del totale. E alle primarie qui possono votare anche loro, i non iscritti al partito. I sondaggi danno ugualmente Trump avvantaggiato: 50% a 39% oppure 54% a 36 %. Un vantaggio in realtà cresciuto dopo il suo schiacciante successo in Iowa, che ha di fatto liquidato DeSantis. E normalmente non più di un terzo di chi vota alle primarie repubblicane in New Hampshire si considera moderato.