Da qui parte il suo ragionamento che critica la direzione data dalla filosofia di Platone alla storia umana. Platone introdusse nella filosofia occidentale il concetto di scissione mente-corpo: si può fare esperienza soltanto mediante il pensiero puro e il ragionamento deduttivo, e non mediante l’esperienza sensoriale. Questo pensiero, secondo Rifkin, ha finito per condizionare il modo in cui generazioni di studiosi e scienziati hanno condotto le loro ricerche. “Abbiamo ascoltato tutti innumerevoli volte la battuta ‘cerca di non essere così emotivo… Sii più razionale. Fidati della ragione più che dell’esperienza’. Anche Bacone innestò nell’Illuminismo un’idea della Natura come passiva, come oggetto di scienza da cui estrarre segreti. E questo approccio utilitaristico con tutto ciò che ci circonda è quello che ancora oggi guida i nostri avanzamenti scientifici”. Poi arrivò John Locke, che secondo l’autore di Pianeta Acqua ha dato le basi filosofiche al concetto di proprietà privata e nel caso specifico la possibilità di possedere proporzioni di idrosfera. “La sua tesi sulla Natura e il ruolo della proprietà privata fornì la base intellettuale per lo sviluppo del capitalismo”. Da qui, la saccheggio del suolo per uso privato, che è parte attiva del processo di fotosintesi: alla lunga tutto ciò ha creato problemi come la frammentazione della Natura (uno dei rischi più grandi ad esempio per la biodiversità in Europa). E alla concezione estrema dell’utilitarismo naturale.
Ecco perché abbiamo bisogno di una storia nuova, che racconti come l’acqua crei tutto: “La scienza lo sa, ma non lo spiega o forse non lo realizza in modo pieno per raccontarlo al la parte migliore: per questo dobbiamo recuperare filosofi e umanisti per riconfigurarla anche a livello narrativo”.
Il ruolo della Gen-Z nel futuro dell’uomo
“Credo che i ragazzi della Gen-Z siano molto consapevoli. Loro protestano da sempre e in questo caso non ancora secondo un contesto narrativo: ma solo per istinto”. C’è qualcosa di nuovo in questo istinto che Rifkin riconosce e che ha realizzato proprio in Italia. “A Milano ho capito per la prima volta, parlando con tre ragazzi della Gen-Z, come la nuova generazione abbia un istinto consapevole: si sono qualificati come ‘specie in pericolo’ e come le altre creature siano parte di loro. Semplice così: possiedono la biofilia, l’empatia con gli altri esseri viventi”. E a questo punto lancia una prospettiva per la grande sfida climatica che attende le nuove generazioni. La Smithsonian Institution, come racconta anche nel suo libro, ha condotto un studio per capire come la nostra minuscola specie si sia sviluppata durante il breve periodo di tempo trascorso sulla Terra. “Per me – spiega – si tratta forse della massima nota di speranza dei nostri tempi”. I ricercatori hanno considerato gli ultimi 800.000 anni della documentazione geologica, per scoprire che questo periodo fu caratterizzato scandito dall’inclinazione dell’asse terrestre e da improvvisi mutamenti estremi della temperatura e del clima sulla Terra, tra glaciazioni e surriscaldamento improvviso. Questi drastici cambiamenti si sono ripetuti più e più volte per 800.000 anni. E lo studio conclude che ce l’abbiamo fatta perché la nostra è tra le specie più adattive del pianeta, anche se fisicamente molto meno dotata di altre.
Il ruolo dell’arte che deve diventare effimera
Nel libro, l’autore mette in discussione molti dogmi: uno tra questi è il ruolo contemporaneo dell’arte. Contro una visione commerciale e utilitaristica dell’opera artistica, dove un oggetto è fatto per durare e più dura più acquisisce valore, Rifkin suggerisce di fare attenzione alla crescita di quella che chiama arte effimera. “Questa è immediata, destinata a dissolversi e non a essere conservata. E’ una forma di arte che celebra la dimensione temporale dell’esistenza”. Solo per fare qualche esempio, si tratta della stand-up comedy, delle jazz session e delle battle di freestyle rap, delle installazioni temporanee nelle mostre e dei flash-mob. “Negli anni Novanta le generazioni hanno cominciato ad avvicinarsi ad un’arte effimera, legata agli elementi naturali come ad esempio la sabbia. Attraverso questo tipo di arte effimera puoi sentirti parte di qualcosa di più grande. Il problema delle nuove generazioni è che possono protestare, ma poi se stanno più di sette ore davanti ad uno schermo, come succede normalmente, la salute mentale si deteriora e i cervelli smettono di svilupparsi. In futuro avremo molto tempo in cui dovremo stare chiusi in casa, ma altro in cui bisognerà stare fuori per imparare e anche performare nella realtà vivente. Quindi l’avvento delle arti effimere sarà tanto importante quanto quelle che hanno dato vita al Rinascimento”.
L’insostenibile freddezza del metaverso
Rifkin sostiene l’importanza dell’avvento dell’intelligenza artificiale, ma non condivide l’entusiasmo sul metaverso: il problema è che genera al momento un distacco dalle capacità umane legate all’empatia. Una qualità che deve essere allenata nella vita reale, e non si può trasmettere tramite un device digitale. E dubita che l’AI si svilupperà tanto come si crede: “Ci sarà un ruolo per l’AI, ma adesso chi la sviluppa sta solo puntando a incassare triliardi di dollari: ma non si svilupperà come pensano. La motivazione è questa: non c’è abbastanza acqua. E’ vero che l’AI funziona con elettricità, ma per realizzarla serve tanta acqua”. Infatti secondo l’autore gli studi dimostrano come sole ed eolico possano già sostituire le energie fossili nell’approvvigionamento elettrico generale e che quindi questo potrebbe supportare la diffusione dell’AI, “ma il problema è che stiamo raccogliendo troppi dati: stiamo installando sensori dappertutto. Quindi, ad esempio, se tu hai un veicolo autonomo che manda ad un cervello generale i dati, c’è un tempo di latenza che creerà problemi. E poi sai quanta acqua ci vuole per produrre un chip? 8 tonnellate di acqua dolce per ognuno. L’anno scorso sono stati prodotti 1 miliardo e 300 milioni di chip. Wow! E si stanno spendendo triliardi di dollari per questo tipo di tecnologia”, mentre l’umanità ha sempre più sete d’acqua. “Quindi abbiamo bisogno di acqua e di AI, ma quest’ultima non per usi secondari. Dobbiamo usarla per motivi primari: dalle infrastrutture alla volubilità. Ad esempio, nella distribuzione di energia nei governi bioregionali che ipotizzo nel libro. Ma chi si occupa di AI al momento conosce o si preoccupa di ciò di cui stiamo parlando adesso? Non credo”.
La fine dell’era delle energie fossili
Pochi hanno una visione più aggiornata di Rifkin sulla sfida della transizione ecologica, dato il suo ruolo di consulente su alcuni di questi aspetti per il governo americano, cinese e per la Commissione europea. Recentemente, fondi d’scontro della portata di Blackrock o Vangard hanno mostrato più timidezza nel supporto agli investimenti in sostenibilità. La Shell dichiara di voler estrarre petrolio fino al 2050. Se dobbiamo realizzare la transizione energetica per salvarci, le premesse di un cambiamento sembrano oscurarsi. “E’ un’impressione momentanea: in realtà le aziende petrolifere non stanno più investendo tanto nelle esplorazioni. Quello su cui si concentrano adesso è aumentare il prezzo del petrolio e delle risorse fossili che sono già a disposizione. Ma non so davvero cosa i loro dirigenti dicano ai propri figli quando tornano a casa la sera. Se sei un Ceo di un’azienda petrolifera sai bene che hai 5-10 anni al massimo per massimizzare i profitti e mostrarli ai tuoi azionisti. E sai bene che solare ed eolico sono molto più economici del nucleare, molto più economici del petrolio, assolutamente più economici del carbone. Non gli importa davvero del mercato: il costo marginale delle rinnovabili corre verso la prossimità allo zero, in futuro non c’è gara ad esempio con l’impiego dell’uranio o l’estrazione di risorse fossili”.
Salvarci con il sublime: la paura che crea meraviglia
All’inizio e alla fine del libro di Rifkin c’è il grande scontro al centro della concezione del sublime, il concetto elaborato dal filosofo irlandese Edmund Burke. Scrive l’autore americano a proposito di questo concetto che ci sono due impostazioni diverse e contrapposte nate da due grandi filosofi. Immanuel Kant ci spingerebbe a esercitare il nostro impulso razionale e a costringere le acque ad adattarsi ai capricci della nostra specie, “mentre Arthur Schopenhauer ci spingerebbe a immedesimarci nella natura vivificante dell’esistenza e a trovare il modo di adattarci a un ciclo idrologico in rapida evoluzione. L’umanità dovrà scegliere tra questi due modi molto diversi di guardare al futuro del pianeta blu. Le decisioni che prenderemo su quale opzione scegliere influenzeranno non solo il nostro destino, ma il futuro della vita stessa sulla Terra”. Appare chiaro che l’autore scelga chiaramente una visione per il futuro alla Schopenhauer, che nel linguaggio comune è un pessimista. Qualcosa di simile al nostro poeta Giacomo Leopardi e alla sua poesia La ginestra, dove riflette sulla bellezza e sull’effimero di un fiore come la ginestra comune che cresce vicino ad un vulcano. Eppure lo stesso Leopardi in quello sforzo eroico della ginestra trova il senso dell’esistenza umana e la meraviglia per l’amore per la vita, anche oltre la razionalità.
La nostra ultima domanda è quindi se la soluzione per non estinguerci sia recuperare la paura oltre che il rispetto per la Natura che ci circonda. “Tanti anni fa ho scritto La civiltà dell’empatia, un libro di quasi 650 pagine, ci ho messo 10 anni. Mia moglie mi disse: ‘Tu sei pazzo, non lo leggerà nessuno’”. Rifkin, con la sua consueta placida ironia, ci dice che nessuno della sua famiglia più stretta ha mai letto una pagina di un suo libro: o almeno di quello in particolare. “In quel libro ho parlato del concetto di sublime secondo Bulke. Dove lui parla di osservare queste manifestazioni naturali estreme, da un tornado a un’inondazione, che ci sovrastano come individui. Ma lo stesso può avvenire anche alla vista di un arcobaleno.
Tutto questo adesso rappresenta l’evoluzione della narrazione che stiamo vivendo. “Quindi ce la faremo in tempo a cambiare lo storytelling dell’umanità per salvarci? Non lo so. Ci sono dei movimenti verso una nuova narrazione? Sì, stanno emergendo”. La sfida è sulle piccole spalle dei giovani, secondo Rifkin: se riusciranno a muoversi oltre la protesta per cambiare l’accademia, il modo in cui concepiamo le scienze, la maniera in cui pensiamo. “La chiave sarà evolvere come umanità in senso adattivo per vedere la Natura come un processo e un modello, come un essere vivente: non più solo come un oggetto strumentale ai nostri fini”.
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di Gianluca Schinaia www.wired.it 2024-10-12 05:00:00 ,