Secondo la ricercatrice, ana Gorzelany-Mostak – che al tema ha dedicato il libro Tracks on the Trail: Popular Music, Race, and the US Presidency – l’uso di canzoni nella politica americana va fatto risalire addirittura alle elezioni dell’800: con la diffusione libretti con testi da cantare, scritti per promuovere un candidato.
Ma il momento di svolta arrivò un secolo dopo, nel giugno 1992, quando Bill Clinton si presentò in TV suonando al sassofono Elvis Presley, identificandosi con la più grande rockstar americana. Da lì in poi è stato un crescendo, non solo musicale: canzoni-tema per le campagne, playlist, concerti di sostegno o per cercare di portare la gente a votare negli stati-chiave, quelli che decidono il risultato. Come quando nel 2004 il gotha del rock si mobilitò creando addirittura un tour nei swing-stares, “Vote For Change”: era la prima elezione dopo l’11 settembre, ma Bush JR. si riconfermò comunque alla presidenza
Le scelte musicali come identità e colonna sonora
Gorzelany-Mostak nota che le scelte musicali sono anche e soprattutto scelte identitarie, che servono ai candidati per posizionarsi, raccontare la propria storia, i propri proprietà e identificare i propri interlocutori. Kamala Harris ha nella sua playlist soprattutto artiste afroamericane, il classic rock è invece la spina dorsale delle playlist repubblicane, che parlano spesso ad un pubblico maschile e bianco.
Non è quindi solo una questione di cosa dicono le canzoni, ma anche di come e per chi suonano: la prima parte della campagna di Kamala Harris era basata su sorrisi e ottimismo e si rifletteva in canzoni danzereccie e allegre, mentre altre canzoni e playlist e le canzoni dei candidati vengono scelte per parlare a segmenti specifici dell’elettorato. Così Kamala Harris così si è fatta accompagnare in occasioni da Eminem, da Bruce Springsteen, e dalla leggenda country Willie Nelson, che ovviamente hanno storie e provenienza profondamente diverse da lei.
Insomma, la scelta delle canzoni è per i candidati e i loro staff un lavoro ormai tanto delicato e decisivo quanto quello di chi fa la colonna sonora di un film o una serie TV: serve a raccontare una storia, a renderla più coinvolgente e credibile.
A chi servono gli endorsement?
Sull’effettiva efficacia pratica degli endorsement ci sono teorie differenti, che spesso rimangono teorie, appunto. Dopo l’appoggio pubblico di Taylor Swift a Kamala Harris 400.000 persone si sono informate su come registrarsi per votare per le elezioni Usa 2024, ma quante poi effettivamente l’hanno fatto – in un sistema in cui la procedura per iscriversi alle liste è molto complessa – è un dato impossibile da avere.
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di Gianni Sibilla www.wired.it 2024-11-02 13:00:00 ,