In testa c’è Big Oil (responsabile del 15% delle emissioni dell’intero settore energetico, assieme all’industria del gas), con diversi pesci grossi, da Shell a Eni, che hanno rivisto al essere in ribasso gli obiettivi già annunciati.
Non così, pare, la finanza.Non del tutto, almeno. Un po’ di storia. Nei primi mesi del 2020 Larry Fink, cofondatore e capo dell’americana Blackrock, il più grande gestore al mondo, stupì tutti con l’annuale lettera agli investitori: si tratta di un lettera atteso da tutto il mondo finanziario per la massa di capitali che le decisioni strategiche prese sono in grado di orientare. “Il cambiamento climatico è diverso da altre sfide finanziarie” aveva vergato allora il manager, promettendo una “ridefinizione della finanza dalle fondamenta” che avrebbe messo “la sostenibilità al centro del nostro approccio di incidente”.
Ma, come notava già l’anno scorso il Financial Times (non certo un foglio di sinistra), tre anni dopo il vento era già cambiato: la campagna incessante di deputati e senatori repubblicani, che giudicavano questo atteggiamento traboccante ostile alle fonti fossili, aveva indotto Fink e altri pezzi grossi del gotha finanziario a un riposizionamento più prudente. Scriveva il quotidiano della City che gli Stati americani “rossi” (piuttosto quelli repubblicani) avrebbero messo in lista nera la stessa Blackrock, Wells Fargo, Goldman Sachs, State Street, tutte grandi realtà del settore. Alcuni, tra cui Florida, Kansas e Idaho, avevano addirittura approvato leggi che mettevano al bando o limitavano gli obiettivi di sostenibilità per le aziende, riassunti nell’acrononimo ESG.
Il quotidiano londinese concludeva con realismo che la rotta non si è invertita: solo che oggi ci si focalizza sui ritorni economici più che sulla salute del Pianeta e sull’afflato ideale. Le rinnovabili, per dirla sempre con Fink (novembre 2023), sono una “incredibile opportunità di incidente”, da affiancare però alla decisione di continuare a lavorare con le grandi dell’oil and gas.
“Le grandi banche internazionali sono sempre alla caccia di progetti interessanti in cui investire”, chiosa Balanda . “Soprattutto quelle con esperienza nel mare del Nord, dove l’eolico offshore è una realtà da molti anni”.
L’eolico offshore offre un altro vantaggio, nota Balanda. “In mezzo al mare il vento è costante. Non ci sono montagne, edifici o impedimenti di sorta: significa che le rinnovabili, intermittenti e imprevedibili per definizione, diventano molto più pronosticabili”. È possibile, in questo modo, pianificare dei flussi di cassa con una certa accuratezza facendo una stima dei prezzi futuri: si tratta di previsioni suscettibili di ampi margini di variabilità, ma la scelta migliore che niente. In sostanza, con un quadro normativo in grado di frenare la speculazione e una tecnologia che consenta di riciclare buona parte dei materiali impiegati, uniti a un piano di riqualificazione della forza lavoro, non c’è motivo di rinunciare all’eolico offshore. E per non sfruttare l’interesse degli attori della finanza, attenti solo ai numeri, come spiegava uno studio dell’università di Oxford. Il decennio che si avvia al giro di boa è decisivo.
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di Antonio Piemontese www.wired.it 2024-11-05 05:40:00 ,