di Antonio Piemontese
Glasgow – Brasile: 479 persone. Turchia: 376. Repubblica democratica del Congo: 373. Ghana: 337. Seguono Russia (312), Kenya (308), Bangladesh (295), Canada (276), Sudan (230). Sono questi i primi dieci paesi per numero di delegati governativi a Cop26, la Conferenza delle parti sul clima organizzata dalle Nazioni Unite a Glasgow. Delegazioni monstre, che hanno sollevato qualche perplessità. Sull’altro fronte, moltissimi sono gli Stati poco rappresentati. Per le difficoltà logistiche legate a Covid-19, ragioni politiche o di budget, per esempio per gli alti costi delle sistemazioni a Glasgow.
La delegazione italiana, con 66 rappresentanti, si piazza tra la Repubblica Dominicana (69 rappresentanti) e il Kuwait (64). Sul lato opposto della classifica, Afghanistan, Kiribati e Myanmar non hanno rappresentanza. Eritrea e Corea del Nord si fermano a 3, la Siria a 4, il Nicaragua a 5, la Santa Sede a 7.
Cifre che parlano
I numeri della kermesse possono raccontare molto. Sono 39.509 i partecipanti registrati a Cop26, provenienti da 197 paesi. Quelli che afferiscono agli Stati sono 21.695, mentre le organizzazioni non governative contano 11.734 persone. Per la stampa, sono 3.781 gli accrediti rilasciati.
La partecipazione è aumentata negli anni. Secondo un’analisi di Robert McSweeney, giornalista di Carbon Brief, un magazine scientifico britannico, questa è l’edizione più partecipata, dopo quella di Parigi 2015 e Copenhagen nel 2009. “Alla prima c’erano meno di cinquemila persone. Ma ogni volta che le aspettative si alzano, come quest’anno, la partecipazione aumenta” spiega a Wired tra i corridoi del vertice. Come accaduto, in scala ridotta, anche nel 1997, terza edizione, per il fondamentale protocollo di Kyoto.
La delegazione più grande? Il Brasile
È ancora una volta il Brasile ad aver inviato la delegazione più sostanziosa. È così dagli anni Novanta. Il record è del 2015, con ben 566 persone. Sotto rappresentate, come da copione, le piccole isole. In parte per paura del coronavirus (molte sono rimaste Covid free fino a oggi), in parte per le difficoltà a sorvolare determinate aree del Pacifico per i veti sempre legati alla pandemia. Hanno giocato, però, un ruolo anche i costi esorbitanti degli alloggi. Glasgow, città di circa 650mila abitanti, non era probabilmente pronta a gestire un evento del genere. Hotel e case in affitto offrivano stanze anche a duemila sterline per notte.
Più donne ai tavoli
Guardando al bilanciamento di genere, c’è ancora molto da lavorare. Le cifre mostrano qualche sorpresa. “Nel corso della propria storia la Cop è diventata progressivamente meno diseguale” prosegue McSweeney: “Il primo anno gli uomini erano in media l’88%, oggi il 62%”.
Nessuna delegazione completamente femminile mentre Yemen, Turkmenistan, Corea del Nord e Santa Sede, al contrario, sono esclusivamente maschili. Segue la Libia, con il 96% di uomini. Sorprende, o forse no, il dato del Giappone: tra 225 delegati, solo 49 sono donne. “In realtà culturalmente la società giapponese è ancora molto legata al passato” chiosa Arielle Busetto, giornalista italo-nipponica, inviato a Glasgow per un quotidiano di Tokyo. Maglia rosa a Moldavia (89%), Samoa (79%) e Messico (78%), che registrano la più alta presenza femminile.
Perché queste disparità?
Secondo la segretaria di Un Climate Change Patricia Espinosa, interrogata da un giornalista britannico, il numero di delegati dipende dalle modalità di governo di ciascun paese. Carbon Brief sottolinea che alcuni Stati mettono a disposizione dei pass alle ong, che possono ingrossare le file dei presenti. Altri spiegano la proliferazione delle delegazioni con i vaccini, somministrati gratuitamente dal governo di Londra per i funzionari e non ancora disponibili in molte regioni povere del mondo.
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www.wired.it
2021-11-04 15:03:50