Ormai sono oltre mille. Nelle settimane su Open abbiamo dato notizia dei Green pass che iniziano a circolare nelle chat Telegram e nella darknet. Certificati reali, appartenenti a cittadini italiani e riconosciuti dall’app Verifica C19. Alcuni sono in formato di testo e bisogna inserirli in un generatore di QR Code per poterli utilizzare. Altri sono già pronti, basta salvarli sul telefono e poi esibirli quando vengono richiesti. Nonostante il primo articolo che abbiamo pubblicato sul tema risalga al 30 ottobre, ancora oggi questi certificati risultano tutti validi. Non è difficile utilizzarli per entrare in un locale pubblico. Basta trovarne uno che corrisponda al genere e all’età della persona interessata e il gioco è fatto, visto che in Italia non vengono richiesti i documenti.
Per dimostrarlo abbiamo deciso di usare i codici che abbiamo trovato per entrare in qualche bar di Milano. In tutte le nostre prove il copione è sempre stato lo stesso. Ci siamo seduti a un tavolo, abbiamo ordinato qualcosa da bere e mostrato il nostro Green pass. Tutti sono stati validati dalle app Verifica C19 utilizzata dai ristoratori. Dalle nostre prove i Green pass sono validi anche con gli ultimi ultimi aggiornamenti dell’app. I baristi coinvolti nei nostri esperimenti non erano a conoscenza delle nostre riprese e hanno eseguito tutte le procedure a cui sono chiamati. Per garantire la sicurezza di tutte le persone coinvolte nel video, poche ore prima delle riprese abbiamo fatto un tampone rapido: risultato negativo.
Le norme sulla verifica del documento di identità
Secondo la circolare del Ministero dell’Interno pubblicata il 10 agosto del 2021 la verifica dei documenti di identità spetta alle forze dell’ordine. In Austria invece chi verifica il Green pass per l’ingresso nei luoghi pubblici è tenuto a chiedere anche i documenti di identità. C’è solo un caso in cui in Italia ristoratori possono chiedere i documenti: quando è palese che i dati anagrafici contenuti nel Green pass non corrispondano a quelli della persona che lo esibisce. Citiamo dalla circolare:
«La verifica dell’identità della persona in possesso della certificazione verde ha natura discrezionale ed è rivolto a garantire il legittimo possesso della certificazione medesima. Tale verifica si renderà comunque necessaria nei casi di abuso o elusione delle norme come ad esempio quando appaia manifesta l’incongruenza con i dati anagrafici contenuti nella certificazione».
Questo ad esempio si verifica in caso di Green pass palesemente falsi, come quello intenstato ad Adolf Hitler di cui abbiamo parlato sempre su Open. Ovviamente questa truffa non può avvenire sui luoghi di lavoro, dove invece l’azienda conosce già i dati anagrafici della persona a cui deve chiedere il Green pass. In tutto questo non è chiaro come i certificati siano stati raccolti: possono essere rubati, ceduti dai possessori o ottenuti da versioni clonate dell’app Verifica C19.
La risposta di Verifica C19
La presenza di archivi di Green pass validi in rete è nota da settimane. Ne abbiamo parlato noi e ne hanno parlato su Twitter anche diversi account attivi su questo tema come @sonoclaudio. Alle 18.15 del 16 novembre abbiamo inviato una mail a [email protected], la mail che ci è stata indicata per chiedere informazioni sull’app Verifica C19. L’app al momento ha bloccato i Green pass palesemente falsi, come quello di Adolf Hitler. Al momento non abbiamo ancora ricevuto risposta su tutti quelli che stanno circolando.
Riprese e montaggio: Vincenzo Monaco e Stefano Scibilia
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Scritto da Valerio Berra perwww.open.online il 2021-11-17 19:48:44 ,