35 anni di Alla Ricerca della Valle Incantata, appartengono a uno di quei film d’animazione capaci di depositarsi nell’immaginario di un’intera generazione, che a partire da quel 18 novembre 1988, si confrontò con un racconto che ancora oggi rimane un simbolo di audacia, bellezza ma soprattutto di rispetto per il pubblico. Oggi un film come quello che ci fece conoscere Piedino, Tricky e gli altri non sarebbe più possibile farlo, ed è per questo che l’opera di Don Bluth rimane qualcosa di importante, di unico, di impareggiabile.
Tre menti per un film preistorico unico nel suo genere
Alla Ricerca della Valle Incantata è e rimane un esempio di straordinaria genesi tra Bluth e il duo formato da Steven Spielberg e George Lucas. A guardarlo oggi, dopo 35 anni, appare chiaro che in questo film vi è un qualcosa di tutti e tre, e fu con ogni probabilità questo il segreto di un successo incredibile, che avrebbe poi generato un franchise durato tantissimo tempo. Don Bluth aveva collaborato per anni presso la Disney, ed era stato tra i primi a spingere per un rinnovamento, che però tardò ad arrivare e che causò la rottura del rapporto creativo. A dispetto delle difficoltà, riuscì già con un capolavoro come Brisby e il segreto di NIMH nel 1982 a trovare un proprio spazio ponendosi come concorrente della Disney. Fievel sbarca in America fu il punto di svolta, anche per la collaborazione con Spielberg , non solo e non tanto per la meravigliosa veste grafica e sonora, ma per la concezione alla base dell’opera.
Si perché questo film trattava il pubblico di riferimento (quello dell’infanzia e pre-adolescenza) in modo adulto, con coraggio e senza paternalismi. Bluth affrontava temi molto difficili, come la morte, la solitudine, la paura di non essere accettati, il trauma della separazione, la necessità di confrontarsi con avversità drammatiche. Fievel sbarca in America fornì a Spielberg e Lucas l’intuizione di ambientare un racconto più o meno simile al tempo dei dinosauri, con Bluth alla regia. Certo, nella fase finale questi dovette accettare diverse modifiche, visto che ciò egli aveva in mente era un po’ troppo drammatico per essere congeniale al largo pubblico a cui la produzione voleva volgersi. Con il senno di poi, bisogna dire che Alla Ricerca della Valle Incantata rimane una perfetta opera di mediazione tra autorialità e capacità di arrivare al grande pubblico.
La trama aveva come protagonista Piedino, un giovane sauropode, che viveva tranquillo della protezione dei due nonni e della madre. Tuttavia il mondo in cui vivono è sconquassato da siccità ed altre catastrofi, motivo per cui quasi tutti gli animali sono in procinto di effettuare una gigantesca migrazione, che li dovrebbe portare verso la Valle Incantata, dove vi è ancora acqua e vegetazione in abbondanza. Come molti altri cuccioli, Piedino è curioso, ma questa curiosità lo porterà quasi dentro le fauci di un terrificante Tirannosauro. La lotta che seguirà tra quest’ultimo e la madre di Piedino, è ancora oggi fissa nell’immaginario di una generazione come uno dei momenti più violenti, inquietanti e strazianti della storia dell’animazione. Aggiungiamo poi al tutto una componente visiva di altissimo livello, un ritmo e una semantica tra il titanico e il realistico che ancora oggi è ineguagliata,
In Alla Ricerca della Valle Incantata risplendeva l’eredità di Fantasia del 1940, di King Kong del 1933 e di Prehistoric Beast di Phil Tippett. Il film creò una delle morti più strazianti della storia dell’animazione. Quell’addio finale della madre morente a Piedino, che non capisce, non subito, che non la rivedrà mai, più può tranquillamente vedersela con la morte della madre di Bambi, supera quella di Mufasa ne Il Re Leone. In quel momento il concetto di perdita si palesò con una potenza unica al pubblico più giovane di quella generazione, ma non in modo ricattatorio, quanto in realtà profondo. Si palesò anche il ricordo come fonte di vita, l’eredità come basata sulla memoria, l’insegnamento appreso, il ricordo. Ancora oggi, i trentenni quarantenni o cinquantenni che lo videro in sala, hanno spesso molta difficoltà nell’affrontare quel momento e non è detto che ciò sia un male.
La capacità di unire profondità narrativa con spettacolarità
Piedino avrebbe trovato in Tricky, giovane femmina di triceratopo, ed in altri tre giovani compagni abbandonati come lui, una ciurma con cui completare un’odissea pericolosa, che in più di un istante diventa un survival movie. Lo scenario che Alla Ricerca della Valle Incantata ci consegnava era di fatto post apocalittico, pareva sbucare da Mad Max o la saga animata di Kenshiro. Disastri naturali, siccità, fame, solitudine, paura e angoscia, saranno fedeli compagne del gruppo; su di loro incomberà fino alla fine quel Tirannosauro, che riusciranno a sconfiggere in uno dei combatti finali meglio concepiti fino a quel momento. Alla Ricerca della Valle Incantata della narrativa di Bluth ha sicuramente la solitudine del protagonista, separato dalla famiglia e che cerca solo di sopravvivere.
Di Steven Spielberg invece riprende l’assenza di una figura paterna, il tema dell’amicizia giovanile, il Tirannosauro che come in Lo Squalo è demone feroce e sadico. Di George Lucas risplende la sua concezione di avventura, la creazione di un mondo colorato popolato da creature incredibili, ma anche deve averci donato in Tricky, la giovane triceratopo, un personaggio femminile alquanto diverso dal canonico, visto che bene o male è lei i muscoli della squadra per così dire. Tutti elementi che uniti alla bellissima colonna sonora di James Horner, all’animazione e alla scenografia utilizzate, rendono Alla Ricerca della Valle Incantata un film di una modernità, di una complessità di atmosfera e tematiche, semplicemente incredibile. Qualcosa di cui il pubblico si accorse immediatamente, visto che il film incassò 85 milioni di dollari, e forni l’ennesima prova di una nuova concezione di racconto animato.
La Disney solo l’anno dopo, quando Bluth presentava il suo film più bello, Charlie – Anche i cani vanno in paradiso, avrebbe raccolto la lezione creando quel capolavoro che fu La Sirenetta. Tutti elementi in virtù dei quali l’animazione occidentale avrebbe negli anni 90 avrebbe conosciuto una Golden Age oggettivamente impareggiabile. Alla Ricerca della Valle Incantata rimane imbattuto, insuperato, nell’averci donato un racconto di formazione capace di insegnare così tanto, trattando il suo pubblico non in modo paternalistico o peggio ancora bigotto. Il film di Don Bluth ad oggi rimane un simbolo perfetto di come si possa coniugare una grande narrazione con una grande animazione, con la volontà di parlare di tematiche importantissime, ma evitando di mettere tale elemento eccessivamente preponderante rispetto all’iter diegetico e i personaggi.
Chi ancora oggi lo definisce come una sorta di Stand By Me fatto di dinosauri, non è assolutamente nel torto, e condivide con il film di Rob Reiner, la capacità di essere narrazione tanto specifica per il pubblico riferimento, quanto affascinante in senso universale. Ed è proprio questa mancanza di equilibrio e di vera volontà di rischiare, di sperimentare, che negli ultimi anni ha comportato la crisi della Disney e della Pixar, perse dentro una parzialità asfissiante. Eredi? Bisognerà aspettare il sottovalutatissimo Dinosauri della Disney (che paradosso eh?) per trovare qualcosa di simile. A confronto con un’animazione che oggi, a parte pochi casi, è diventata ripetitività e noia, Alla Ricerca della Valle Incantata rimane un pilastro del genere, un perfetto esempio di come con le giuste idee e senza paura, si possa creare un capolavoro senza tempo.
Leggi tutto su www.wired.it
di Giulio Zoppello www.wired.it 2023-11-18 05:40:00 ,