Parigi – Rossetti on demand preparati a dimora su misura, profumi scelti in base allo stato emotivo, analisi del sonno, scansione al microscopio del capello e delle unghie, tecnologie per risparmiare acqua senza accorgersene. A provette, macerazioni ed esperti di essenze, la bellezza del futuro affianca sempre più ingegneri e geni del software, provenienti dalle più blasonate compagnie tech e coccolati in tutti i modi per farli sentire a dimora. Il futuro della cosmetica passa dalla personalizzazione; in questo, il digitale offre un contributo ricco di opportunità. Vediamo come.
Italia: la flessibilità come punto di forza
Secondo Gian Andrea Positano, responsabile del centro Studi di Cosmetica Italia (che raccoglie le imprese di settore), gli acquisti dei nostri connazionali nel settore cosmetico ammontano, annualmente, a circa 10,6 miliardi di euro: la cifra comprende anche i prodotti esteri; la produzione nazionale, invece, assomma 11,8 miliardi. “Di questi, quattro o cinque sono destinati all’esportazione” spiega a Wired Positano.
Il mercato, prosegue Positano, si sta progressivamente spingendo verso la personalizzazione della bellezza. “Non so se il neologismo beauty-tech sia corretto” ragiona l’economista. “Con questo termine ci si riferisce, di solito, a tecnologie che riguardano la vendita del prodotto: ma mi pare di ravvisare una distorsione. Spesso non si considera quanto la tecnologia conti a monte, cioè nelle fasi produttive. Soprattutto in Italia, Paese caratterizzato da terzisti dotati di una caratteristica fondamentale: la flessibilità”.
Spieghiamo meglio. “Si afferma spesso che, a livello sistemico, per essere competitivi bisogna aumentare la dimensione media delle aziende. Normalmente è vero, ma in questo caso, l’essere piccoli si trasforma in un’opportunità. Le faccio un esempio: in cosmetica le differenze fenotipiche sono fondamentali quanto quelle culturali. Un distributore in Estremo Oriente, mettiamo, nel Vietnam, ha bisogno di mille pezzi di una tintura per capelli rosso scuro basata su una certa colorazione etnica: è ben difficile per un’azienda di grandi dimensioni rispondere a un ordine così ridotto, il lotto minimo di solito non scende sotto i diecimila pezzi. Quelle italiane sono in grado di farlo”. Tra i terzisti, spicca Intercos, 780 milioni di fatturato nel 2018, e tra i maggiori attori a livello mondiale.
Un incubatore tecnologico per la bellezza
I dati sono fondamentali per rispondere alle richieste dei clienti di domani. Ne è convinto Guive Balooch, responsabile dell’incubatore tecnologico di L’Oreal. “I clienti cercano impulsività e sostenibilità, e si aspettano di raggiungere, grazie alla tecnologia, risultati cui non potrebbero arrivare da soli – racconta da un divanetto a Viva Tech, esposizione parigina (qui il nostro racconto, ndr) dove è facile imbattersi in marchi che non ti aspetteresti in una fiera dedicata alla tecnologia, dalla stessa L’Oreal a Lvmh a Bulgari.
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di Antonio Piemontese www.wired.it 2022-06-26 17:00:00 ,