All’inizio degli anni Settanta a Torino si contavano 3,5 metri quadrati di verde pubblico per ognuno degli 1,1 milioni di abitanti. Cinquant’anni dopo, mentre la cittadinanza umana è calata (850mila persone registrate) le piante sono aumentate in misura più che esponenziale. Diciotto milioni di metri quadri e 167mila piante (esclusa la collina) costituiscono il patrimonio a gestione pubblica del capoluogo piemontese, pari a circa venti metri quadri per abitante, valore che supera del doppio la soglia minima raccomandata dall’Organizzazione mondiale della sanità. Ma si può usare il verde per contrastare i cambiamenti climatici e la siccità di questi giorni? La risposta è positiva. Vediamo come.
Come condizionatori
“Gli alberi non assorbono solo anidride carbonica, compito importante ma che nel discorso pubblico sovrasta tutti gli altri – dice a Wired Giorgio Vacchiano, ricercatore in Gestione e pianificazione forestale all’università degli Studi di Milano -. Ce ne sono molti altri di cui si parla poco. Hanno, per esempio, effetti di raffrescamento tramite l’evapostraspirazione, paragonabile alla nostra sudorazione: è limitato a un perimetro di alcune decine di metri, ma molto forte, quasi come due condizionatori: e infatti, le strade circondate da alberi segnano valori di temperatura inferiori anche di sei o sette gradi rispetto alle altre”. Ci sono poi l’assorbimento fino al 20% delle polveri sottili, secondo alcuni studi; il rallentamento delle piogge intense, che grazie alla vegetazione non arrivano al suolo tutte assieme, causando danni da alluvione; il benessere mentale e sociale.
Secondo Vacchiano, ogni euro investito in alberi ne produce tre o quattro in termini di benefici pubblici, si tratti di minore impiego di elettricità per raffreddare gli edifici o della salute dei cittadini: “Bisogna considerarli un investimento. Pensiamo a Torino, che un anno fa ha pubblicato il Piano strategico dell’infrastruttura verde, un documento dove la vegetazione non viene considerata un mero abbellimento, ma un vero e proprio asset”. In che modo? “Per esempio, incrociando i dati della cittadinanza più vulnerabile con quelli delle isole di calore, cioè le aree dove la temperatura raggiunge i picchi – dice l’esperto –. Questo lavoro serve per inserire più vegetazione proprio dove serve, soprattutto nelle zone particolarmente abitate da anziani”. E dalle quote più povere della cittadinanza.
“Il Pnrr ci dà i soldi, ma per il verde mancano i terreni”
Ma non è così semplice. In città e in provincia si fatica a trovare spazi per le piantine. “Il mio ufficio ha ventotto milioni di euro da spendere per inserire settecentomila piante su settecento ettari – dice a Wired Gabriele Bovo, dirigente della città metropolitana sabauda, la vecchia Provincia -. Quest’anno? Ne abbiamo trovati solo 160. Nei prossimi non so”. Bovo offre una spiegazione: “I piccoli Comuni, che dispongono di grandi superfici, preferiscono darle in gestione agli agricoltori. Un discorso comprensibile sul piano economico, ma così non si pensa alla collettività”. Come se ne esce? “Deve essere il ministero della Transizione ecologica a scrivere ai Comuni con la propria autorevolezza, e farlo senza chiedere, semplicemente, se sono interessati collaborare: il Pnrr è un obiettivo nazionale, e non si può lasciare che siano i singoli funzionari locali a cercare questi terreni. Pare strano, ma qualcuno ci accusa persino di condurre una battaglia personale”. Le crisi di governo non aiutano.
Colli di bottiglia: perché i fondi rischiano di non arrivare
Quando, poi, si decide, spesso è necessario correggere la rota. “Il Pnrr ha dedicato 330 milioni alla piantumazione e mantenimento degli alberi nelle quattordici città metropolitane – conferma Vacchiano -. Ma c’è un problema: chi ha calcolato le superfici minime per accedere ai fondi ha decisamente sovrastimato i valori. Secondo le tabelle, Milano deve piantare alberi almeno su 138 ettari, e questo è uno dei colli di bottiglia: trovare queste superfici è difficilissimo”. Così, il bando rischia di andare a vuoto.
Ma non è solo questione di spazi. A mancare sono anche gli alberi. “L’altro collo di bottiglia è che la produzione vivaistica italiana è assolutamente sottodimensionata e insufficiente a fornire tutte le piantine di cui avremmo bisogno: è necessario investire in modo scientifico nei vivai con un’operazione di lungo periodo, anche cominciando a sperimentare quali sono le specie o varietà più adattate al clima che verrà. E questo si può fare solo in un contesto protetto come quello“, dice Vacchiano.
Un catasto degli alberi e niente verde in periferia
Ma quindi – chiediamo – come se ne esce? Quali sono le politiche da mettere in campo? “Rispondo riprendendo i criteri del Tree cities of the world, certificazione Fao assegnata a 138 città al mondo di cui sei italiane (Cesena, Lignano Sabbiadoro, Milano, Modena, Padova e Torino, ndr) – dice Vacchiano –. Innanzitutto, serve un ‘catasto degli alberi’, che devono essere mappati e monitorati. Poi, avere ufficio del verde, cioè una delega specifica all’interno della Giunta comunale per occuparsi di questo aspetto. Naturalmente, e questo è il terzo punto, servono risorse dedicate, che poi, come visto, possono generare un ritorno. Non basta la sola mano pubblica: Milano, ad esempio, con il progetto Forestami ha coinvolto anche le aziende.”
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di Antonio Piemontese www.wired.it 2022-07-24 05:00:00 ,