Carne vegetale, la startup che vuole convertire l’Europa

Carne vegetale, la startup che vuole convertire l’Europa


L’attivismo ambientale sta cambiando volto: le nuove generazioni hanno deciso di risolvere i problemi e non più di denunciarli e basta. Creando attività economiche sostenibili e su larga scala. Almeno, questa è la sensazione dopo aver incontrato i dirigenti di Heura Foods, la startup spagnola di carne vegetale a più rapida crescita in Europa con sede a Barcellona e fondata da Marc Coloma e Bernat Añaños. Con l’aiuto di chef di qualità, nutrizionisti e ricercatrici con dottorati di ricerca, Heura ha sviluppato una strategia molto semplice che unisce due aspetti diversi dell’attivismo e dell’impresa: “Come salvare il pianeta attraverso quello che mangiamo”.  Carne vegetale per fare la cosa giusta per gli animali e l’ambiente (salvare il pianeta) ma anche per l’alimentazione sana delle persone (il benessere) e la filiera (prodotti etici a prezzi alti ma sostenibili per ridare valore a chi opera nel settore). 

È il post-attivismo, un modo diverso di essere militanti ma cercando anche gli utili: guidati dalla ricerca tecnologica, con l’obiettivo di tenersi i brevetti e disposti a farsi comprare da McDonald’s (se questo volesse dire che i fast-food di tutto il pianeta fanno panini solo di carne vegetale) l’obiettivo è fare la cosa giusta ma essere anche un’azienda normale. E i conti tornano:  Heura ha chiuso il 2021 con un fatturato di 17,7 milioni di euro in crescita rispetto agli 8 milioni di euro del 2020, ha siglato accordi con la grande distribuzione di molti paesi europei incluso Carrefour per l’Italia, e dichiara che il cambiamento di paradigma è possibile sommando due fattori apparentemente lontani: i movimenti sociali e le innovazioni tecnologiche.

I due fondatori di Heura Foods, Marc Coloma e Bernat Ananos

Fonte: Heura Foods

L’impatto della carne sull’ambiente

Heura è la più rappresentativa di una nuova onda di aziende del settore della carne vegetale. Il problema è semplice e tremendo al tempo stesso: non possiamo permetterci il consumo di carne attuale. Non se lo può permettere il pianeta, dato che l’allevamento di polli, manzi e maiali (e la produzione dei loro mangimi) pesa per il 19,7% delle emissioni planetarie contro per esempio il 16,2% dei trasporti complessivi (aerei, auto, treni e navi). Non se lo possono permettere gli animali, che vengono allevati in condizioni tremende e trucidati in modi e su una scala che sfugge completamente ai consumatori “normali”: oggi su una gente mondiale di 7,8 miliardi di persone esistono 80 miliardi di animali da allevamento. N

on se lo può permettere la struttura della nostra economia: l’83% delle fattorie e relativi terreni sono dedicati all’allevamento per fini alimentari, che tuttavia produce solo il 18% delle calorie e il 37% delle proteine di cui abbiamo bisogno giornalmente. Non se lo può permettere infine la nostra salute, visto l’eccesso di proteine e grassi animali che consumiamo e l’abbassamento complessivo della qualità: la produzione di carni e pollame, incluse le uova, sta crescendo dal dopoguerra in maniera esponenziale, più rapidamente della gente, e lo fa utilizzando in tutta la filiera quantitativi di sostanze chimiche potenzialmente (o decisamente, a seconda del punto di vista) nocive: dagli OGM agli antibiotici. 



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di Antonio Dini www.wired.it 2022-06-19 05:00:00 ,

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