di Luca Zorloni
Sul tavolo, spiega Bencini, al momento ci sono tre opzioni. La prima potrebbe vedere il sistema oscurare righe o colonne in caso di celle lasciate vuote. La seconda prevede che siano i Paesi stessi a poter chiedere di oscurare alcune righe o colonne nelle quali alcuni tra essi, in particolare quelli in via di sviluppo (definizione basata su dati del 1992 e che quindi include, tra gli altri, Cina, India e Brasile) che per vari motivi non riescono o non vogliono condividere i dati. La terza contempla che gli Stati più svantaggiati possano usare una sigla standard, Fx (che sta per flexibility, flessibilità) per riempire le caselle vuote. Proprio quest’ultima potrebbe rappresentare una via di compromesso per Stati insulari o alcuni governi africani perché lascia visibili i rimanenti dati, ma si lavora affinché Fx serva a coprire solo le voci davvero mancanti e non diventi una foglia di fico dietro cui nascondere numeri scomodi”
Questione di soldi
Gli altri due cardini di questa Cop26 sono la finanza per il clima e i tempi degli Ndc. A Cop26 i negoziatori si sono seduti al tavolo senza che sia stato raggiunto nel 2020 l’obiettivo di mobilitare fino a 100 miliardi di dollari da parte delle nazioni più ricche per aiutare le più povere a fronteggiare le conseguenze della crisi del clima. “E ora si discute di un nuovo obiettivo al 2025”, spiega Bencini. Non è ancora chiaro di quanto, visto che “siamo lontani dai 100 miliardi”, aggiunge. Per esempio, i fondi per perdite e danni (loss and damage) causati dagli eventi climatici più estremi, come siccità, alluvioni o uragani, saranno dentro l’impegno dei 100 miliardi o, come chiedono alcuni i Paesi più colpiti, saranno aggiuntivi? A Wired Milagros De Camps, viceministra della cooperazione internazionale del ministero dell’Ambiente della Repubblica Dominicana, ha precisato che i 100 miliardi servono subito ma non bastano: finanziamenti aggiuntivi devono essere stanziati per far fronte alla crisi.
Secondo una ricerca della società di consulenza McKinsey, commissionata nell’ambito della campagna Race2resilience (un’organizzazione legata a un’associazione di multinazionali, Race2zero), in uno scenario di aumento delle temperature al 2050 di 2 gradi rispetto ai livelli pre-industriali, due terzi delle persone a rischio di eventi climatici disastrosi si concentrano in 10 Paesi. In due di questi, Bangladesh e Pakistan, corre questo rischio il 90% degli abitanti. E secondo l’ultimo aggiornamento del Climate action tracker, una delle più importanti coalizioni di studio sulla crisi del clima, si rischia un aumento delle temperature a 2,4 gradi entro la fine del secolo.
Da questo punto vista Cop26 ha prodotto, finora, accordi multilaterali che mettono sul piatto investimenti anche consistenti. L’ultimo annuncio, datato 9 novembre, riguarda 232,6 milioni di dollari nel fondo per l’adattamento, con cui proteggere le comunità dalle conseguenze della crisi del clima. Per la prima volta contribuiscono Stati Uniti, Canada e Qatar. Mentre il vicepresidente della Commissione europea con delega al Green deal, Frans Timmermans, ha annunciato un investimento dei Paesi dell’Unione di 100 milioni.
Infine, sui tavoli di Cop26 si discute di tempi. Quali orizzonti temporali per le promesse che i Paesi presentano ufficialmente alle Nazioni Unite? “Oggi gli accordi di Parigi stabiliscono una verifica ogni cinque anni, ma gli Stati stanno prendendo impegni al 2030, 2040, 2050 con tempistiche diverse”, spiega Bencini. I contributi dell’India arrivano al 2070. Sul tappeto ci sono grosso modo tre strade: mantenere impegni intermedi aggiornabili con orizzonte a cinque anni, come propugnano i più ambiziosi; dilatare a 10 anni; oppure trovare un compromesso con una formula 5+5. Ossia obiettivi a dieci anni con una sorta di check-up intermedio. Se l’Arabia saudita ha sbloccato la sua posizione sul tema, chi per adesso non si esprime è uno dei componenti del club degli ambiziosi, nonché la sponda che gli Stati Uniti cercano per controbilanciare l’influenza della Cina: l’Unione europea.
Per Marirosa Iannelli, coordinatrice clima a capo della delegazione di Italian climate network a Cop26, è presto per fare previsioni sull’esito delle negoziazioni: “Proprio oggi (9 novembre, ndr) è iniziato il segmento ministeriale e circolano i primi testi ancora pieni di opzioni. La Iea (l’Agenzia internazionale dell’energia, ndr) ha dichiarato che stando agli impegni presentati finora dai Paesi, abbiamo una possibile traiettoria di contenimento delle temperature entro 1,8 gradi. Varie fonti di negoziati tecnici, inoltre, dichiarano buoni progressi sulla finanza climatica, trasparenza e adattamento. C’è ancora molto da fare e da negoziare per l’obiettivo del 1,5 gradi”.
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www.wired.it
2021-11-10 06:00:00