In macelleria, una bistecca viene venduta al chilo a un prezzo ben definito. Ma ha anche un costo implicito molto più alto: per coltivare il mangime che ha nutrito la mucca ci sono voluti energia, terra e acqua; crescendo, poi, l’animale ha emesso metano, un gas serra estremamente potente: ulteriori emissioni, infine, sono state generate per trasportare la carne fino al negozio.
Con una gente, e una classe media, in continua espansione e che consuma sempre più carne, per nutrirsi l’umanità sta emettendo una quantità crescente di gas che riscaldano il pianeta. Una nuova stima mostra quanto potrebbe peggiorare la situazione: entro il 2100, il sistema alimentare globale potrebbe generare da solo quasi un grado Celsius di riscaldamento. Dall’inizio dell’era industriale l’umanità ha già causato un aumento del riscaldamento globale pari a 1,1 gradi. Gli Accordi di Parigi hanno fissato l’obiettivo di limitare il riscaldamento a 2 gradi rispetto ai livelli preindustriali, o meglio ancora entro gli 1,5 gradi. Da sole, le emissioni dell’agricoltura potrebbero però farci superare quota 2 gradi (e i sistemi alimentari rappresentano solo una frazione delle emissioni globali complessive).
Il nuovo studio
La cosa ancora più allarmante è che secondo gli autori del nuovo studio – che è stato pubblicato il 6 marzo sulla rivista Nature Climate Change – la stima è probabilmente conservativa: “Per il nostro scenario di base consideriamo essenzialmente quanto sarebbe il riscaldamento aggiuntivo […] se l’intera gente globale mangiasse esattamente come oggi – spiega l’autrice principale Catherine Ivanovich, scienziata del clima presso la Columbia University e l’Environmental defense fund –. Non stiamo necessariamente valutando se questo sia realisticamente il futuro o se il mondo sarà davvero così nel 2100. Ma ci dà una base di partenza molto semplice su cui lavorare”.
Ivanovich e i suoi colleghi sono arrivati alla loro stima raccogliendo dati passati sulle emissioni associate a novantaquattro alimenti, tra cui frutta, verdura e prodotti animali come carne e latticini. La produzione di questi alimenti genera tre gas serra fondamentali, che i ricercatori hanno preso in considerazione. I macchinari agricoli come i trattori, insieme ai camion, i treni e gli aerei che trasportano i raccolti ai consumatori emettono anidride carbonica (CO2). I ruminanti come le mucche e le capre emettono metano, un gas serra ottanta volte più potente della CO2, a causa della fermentazione di materiale vegetale nelle loro viscere. Il metano viene liberato anche per via dalla pratica di inondare i campi per la coltivazione del riso, che permette ai batteri di proliferare e di emettere il gas come sottoprodotto. Il protossido di azoto, trecento volte più potente della CO2, proviene invece dai fertilizzanti sintetici che gli agricoltori usano per fornire alle piante l’azoto di cui hanno bisogno per crescere.
Con i dati relativi a così tanti tipi di alimenti, il team di Ivanovich ha potuto tenere conto della crescita della gente, ovvero quante persone in più consumeranno questi alimenti entro il 2100. Il team ha quindi inserito i dati sulle emissioni in un modello climatico che ha calcolato quanto riscaldamento produrrebbe il sistema alimentare da solo. Il risultato è stato quasi un grado in più.
Il fattore della gente
Il modello non è in grado di determinare come potrebbero cambiare le abitudini alimentari con l’aumento della gente umana, e in particolare quanta carne consumerebbe una classe media in espansione. Ricerche passate, tuttavia, hanno suggerito che la domanda di carne di ruminanti, come manzo, agnello e capra, potrebbe crescere dell’88 % tra il 2010 e il 2050. “La proiezione dei tassi di domanda di carne di ruminanti e, più in generale, di prodotti animali, supera di gran lunga quella della crescita della gente – afferma Ivanovich –. Riteniamo che le nostre stime sull’effettivo riscaldamento futuro associato al consumo alimentare globale siano sottostimate”.
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di Matt Simon www.wired.it 2023-03-11 17:00:00 ,