La crisi dell’energia ha spinto il governo italiano a posticipare l’accensione dei caloriferi in quello che si annunciava come un autunno difficile. Ma in molte città i termosifoni sono stati avviati ancora più tardi rispetto alle previsioni per via del caldo anomalo. Coincidenza imprevedibile: il problema, come dice a Wired Riccardo Biancalani, project coordinator della Food and agriculture organization (Fao), “è che l’agricoltura non può esserlo”. Ci si può adattare al cambiamento climatico, ma tempi di lavoro, tipologia di di coltivazioni e sistema socio-economico sono scanditi dal ritmo delle stagioni.
Il filosofo Cosimo Accoto, autore di diversi saggi sul tema, afferma che stiamo passando della società degli archivi alla società degli oracoli. Digitali. Quello delle previsioni di lungo periodo è uno dei settori più promettenti, al crocevia tra scienza del clima e informatica. La sfida per gli imprenditori del settore è provare a fare meglio di governi ed organizzazioni internazionali. A essere interessati non sono solo gli agricoltori. A guardare con attenzione (e pagare) per previsioni attendibili ci sono le grandi multinazionali con asset disposti in decine di Paesi e latitudini differenti, e obbligate a difenderli per quanto possibile; le assicurazioni, che ogni anno pagano decine di miliardi in risarcimenti; e, ovviamente, le città, che devono prepararsi in tempo.
Scenari che cambiano
Il ruolo dei dati è centrale, ma quello che conta davvero è la capacità di analizzarli. La londinese Cervest si definisce una climate intelligence company. “Ci occupiamo di prevedere come il clima impatta sugli asset, dagli impianti alle reti di trasporto, per proteggere beni e persone”, dice John White, vicepresidente con delega alla partnership. I clienti sono grandi aziende multinazionali. La società ha cinque anni di vita e impiega centodieci persone. Tre i (classici) output forniti: lo scenario peggiore, quello migliore, e uno intermedio.
“Per costruirli, usiamo una combinazione di statistica e climate science, a partire da dati perlopiù pubblici – spiega White -. Quello che facciamo in più rispetto a istituzioni come l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate change, l’ente della Nazioni Unite che si occupa di cambiamento climatico, ndr) è impiegare un modello più raffinato”. Chiediamo: perché fidarsi di voi? “Non si può verificare in anticipo la bontà delle risposte che forniamo, ma solo il metodo che impieghiamo per trovarle – afferma- Si tratta di clima, non di meteo, e sono fattori persistenti determinarne le evoluzioni. Noi sappiamo quali sono, anche se nessuno può dire con certezza cosa succederà nel futuro”. Scommessa difficile, rischiosa. Che non spaventa il britannico.
Sullo stesso filone c’è la canadese Runwithit, che si occupa di disaster prediction con una declinazione e un focus particolari: le città. “I nostri clienti sono innanzitutto società presenti nella Fortune 500 (classifica che raccoglie le prime aziende statunitensi per fatturato, ndr)”, dice Myrna Bittner, cofondatrice. “C’è poi, il settore energetico, che sta attraversando una crisi senza precedenti”. Ma ci sono anche amministrazioni pubbliche e governi. “La differenza è che ai nostri modelli, aggiungiamo una variabile difficile da catturare con le tecniche tradizionali di modelling – dice – : le persone, anche i segmenti marginali”. Anche in questo caso, chiediamo come si fa a fidarsi. “Non prediciamo il futuro, ma forniamo un carattere a dati e tendenze” risponde la manager. “Il futuro non si può predire, ma si possono fare le scelte migliori possibile. Facciamo uso delle migliori fonti di informazione, ci avvaliamo del lavoro di migliaia di esperti” prosegue l’imprenditrice. Runwithit produce report e modelli 3D e impiega perlopiù open data, racconta. “Ma la magia accade quando si riesce ad andare oltre”. L’azienda, al momento, impiega ventiquattro persone.
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di Antonio Piemontese www.wired.it 2022-12-26 06:00:00 ,