di Sandro Iannaccone
I pannelli assumono una conformazione adatta a favorire il passaggio del vento, catturano l’anidride carbonica e poi si ripiegano; l’interno del dispositivo si riempie quindi di acqua e la resina, per via delle sue proprietà chimiche, vi rilascia l’anidride carbonica che ha catturato. A quel punto l’intero processo può iniziare da capo. Poi, chiaramente, bisogna pensare anche a cosa fare con l’anidride carbonica ricatturata: una parte di essa, dice Lackner, può essere combinata con energia solare e idrogeno e utilizzata per produrre carburanti; l’altra va giocoforza stoccata da qualche parte. Per esempio sotto terra, in appositi container, un po’ come si fa (o meglio si dovrebbe fare) con le scorie nucleari.
Nuovi materiali
Nel frattempo, la ricerca di materiali sempre più efficienti nella cattura dell’anidride carbonica va avanti: un paio di anni fa, per esempio, un’équipe di ricercatori dell’Università di Kyoto ha annunciato, sulle pagine di Nature Communications, di aver messo a punto una struttura metallo-organica fatta di ioni di zinco e componenti organiche capace di riconoscere selettivamente la CO2, catturarla e renderla riutilizzabile per la produzione di prodotti chimici.
Ci sono poi anche progetti su scala più ampia: a metà dello scorso anno, per esempio, è stato annunciato l’inizio della progettazione di un enorme impianto per la rimozione dell’anidride carbonica che dovrebbe sorgere sulla costa scozzese, e che, a regime, dovrebbe riuscire a rimuovere dall’atmosfera fino a un milione di tonnellate di anidride carbonica ogni anno, l’equivalente di circa 40 milioni di alberi. Secondo i piani, l’impianto dovrebbe essere operativo nel 2026. Sostanzialmente, funziona come un enorme aspirapolvere, che risucchia l’aria dall’atmosfera e la fa confluire in un serbatoio che contiene un liquido in grado di legarsi all’anidride carbonica; dopo diversi altri passaggi, il liquido viene trasformato in pellet di carbonato di calcio, che vengono riscaldati a circa 900 °C e si decompongono in ossido di calcio e anidride carbonica pura. Questo flusso di anidride carbonica viene infine pompata sottoterra per il suo stoccaggio definitivo.
In ogni caso, va sottolineato che, nonostante tutti gli sforzi e i progressi della ricerca, tutte queste tecnologie sono ancora abbastanza acerbe, il che se da una parte comporta il fatto che ci siano ancora ampi margini di miglioramento, dall’altra implica che probabilmente i tempi perché siano realmente operative ed efficienti potrebbero non essere brevi come spereremmo. E molti esperti sono anche preoccupati del fatto che, nel momento in cui questi sistemi saranno tecnologicamente ed economicamente sostenibili, i governi potrebbero interrompere gli sforzi per ridurre le emissioni, cosa da evitare a tutti i costi.
“Non possiamo permetterci di fare affidamento solo su queste tecnologie – ha spiegato alla Bbc Ajay Gambhir, ricercatore del Graham Institute for Climate Change and the Environment -. Sono certamente molto interessanti, e dobbiamo continuare a lavorarci sodo e assicurarci che diventino competitive in termini di costi e di prestazioni entro questo decennio; ma allo stesso tempo dobbiamo continuare a ridurre le emissioni il più velocemente possibile”. Il resto lo leggeremo tra pochi giorni nel rapporto Ipcc.
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www.wired.it
2022-03-27 17:00:00