Torre del Greco. Non c’è una chiara sproporzione tra i redditi dichiarati e il valore dei beni acquistati. E se pure ci fosse, non sarebbe riconducibile alla presunta attività di «mediazione» svolta a favore della camorra. E’ il succo dell’ordinanza con cui l’ottava sezione penale del tribunale del Riesame di Napoli ha cancellato il maxi-sequestro da circa due milioni di euro eseguito a carico di Ciro Vaccaro, l’imprenditore di Torre del Greco accusato di essere in affari con i clan Di Gioia, Papale e Falanga.
A otto mesi dall’esecuzione del provvedimento cautelare per concorso esterno in associazione mafiosa e estorsione aggravata, i giudici del tribunale della libertà hanno accolto in pieno il ricorso presentato dall’avvocato Antonio de Martino, legale del cinquantacinquenne: disposta così l’immediata restituzione dei beni sequestrati a giugno del 2019 a margine del blitz costato l’arresto a 12 indagati. A Ciro Vaccaro – recentemente finito ai domiciliari dopo 6 mesi in carcere – erano state requisite le quote aziendali della Saramcoop, cooperativa a lui intestata, un motorino, quattro immobili siti in via Costantinopoli e un appezzamento di terreno. Beni ritenuti riconducibili al patrimonio dell’imprenditore-imputato con l’accusa di aver fatto da anello di congiunzione tra camorra e imprenditori nella raccolta delle estorsioni per conto dei clan.
Avverso il decreto di sequestro l’avvocato di Ciro Vaccaro ha depositato un’ampia memoria difensiva, portando all’attenzione dei giudici tutte le documentazioni contabili e le dichiarazioni dei redditi della famiglia dell’uomo. Elementi da cui – scrivono i giudici del Riesame – non emerge «nessun significativo squilibrio» tra redditi e beni. Tra l’altro, sempre secondo il collegio giudicante, l’appoggio esterno alla camorra documentato dalle indagini sarebbe successivo al periodo di acquisto dei beni. Dunque case e terreni non si possono considerare – il succo del verdetto – provento dell’attività di mediazione criminale che Ciro Vaccaro, secondo l’Antimafia, avrebbe svolto per i camorristi di Torre del Greco. Al massimo, scrivono sempre i giudici, si potrebbe trattare di proventi di «illeciti fiscali» per cui non è previsto il sequestro finalizzato alla confisca. Da qui la decisione di restituire tutti beni all’imprenditore, a sua moglie e sua figlia: una decisione importante che, tuttavia, non cambia il peso delle accuse mosse a carico di Ciro Vaccaro in sede penale. L’imprenditore nei prossimi giorni dovrà tornare in aula per la prima vera udienza del processo che lo vede imputato.
Secondo l’inchiesta coordinata dalla Dda di Napoli, Ciro Vaccaro avrebbe svolto – per anni – il ruolo di “eminenza grigia” nel campo degli appalti pubblici. Sia spifferando informazioni riservate sulle gare indette dal Comune, sia arrivando a trattare con la camorra la quota di tangente che le ditte incaricate di lavori o servizi avrebbero dovuto corrispondere ai clan. Per gli inquirenti quell’uomo dalla fedina penale immacolata sarebbe stato l’anello di congiunzione della Suburra degli appalti di Torre del Greco. Il collante tra il mondo di sopra, composto da politici e imprenditori senza scrupoli, e quello di sotto, dove regnano i boss sanguinari assetati di quattrini.
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