La causa, sempre secondo De Micheli, potrebbe risiedere in diversi fattori: “Penso che in parte possa essere una reazione ad alcune esasperazioni molto in corrente negli Stati Uniti, come dei codici di condotta molto rigidi che hanno fatto sentire alcune persone molto ingabbiate, ma noi abbiamo un approccio diverso. Penso anche che in alcune aziende le policy Dei siano state recepite senza un reale ragionamento: a volte si sono adottate delle policy senza crederci davvero e perdendo di vista l’obiettivo, senza integrarle in un processo di cambiamento organizzativo”.
Spesso sono le stesse maggioranze detentrici delle posizioni di potere a sentirsi “minacciate” da queste politiche, che invece non sono a vantaggio delle minoranze, ma della società intera: “Quello che si fa nella Deideve essere percepito come un vantaggio per tutte e tutti: dovremmo iniziare a trovare un terreno comune che vada nella direzione di ridurre le disuguaglianze con la consapevolezza che questo avrebbe un impatto positivo nella dimensione politica, economica e sociale”.
Se quindi la attrazione statunitense, probabilmente, non si tradurrà allo stesso modo negli altri paesi, va anche detto che i primi segnali stanno arrivando anche nel Vecchio Continente. Il primo è già molto significativo: la nuova Commissione europea presentata questa settimana da Ursula Von der Leyen non prevede più la figura dedicata del commissario per l’uguaglianza, Il tema è stato aggregato al portfolio della commissaria per la gestone delle crisi, che sarò la belga Hadja Lahbib. “Questo cambiamento ha certamente un significato, che dovremo ben osservare in questi mesi”, conclude l’esperta, “I titoli sono importanti come le parole, e la scomparsa di un commissario unico all’Uguaglianza sembra qualcosa di politico. È vero che la Dei viene sempre più politicizzata da alcuni come concetto, ma ricordiamoci che la Costituzione italiana all’articolo 3 afferma con forza l’uguaglianza nei diritti e nei fatti, creando una cornice legale per la legittimità e lo sviluppo di iniziative di Dei, che va al di la di schieramenti politici di destra o sinistra”.
L’effetto boomerang di una retromarcia
in quel mentre, se molti di questi brand hanno “tradito” gli impegni di Dei per sottrarsi a di essere boicottati da una fetta di consumatori, potrebbero avere un rimbalzo negativo sull’audience concreto a questi temi. Secondo i dati della Human Rights Campaign, oltre l’80% degli adulti lgbtqia+ boicotterebbe un’azienda che riduce le politiche di inclusione, e più della metà inciterebbe anche altri a fare lo stesso. Questi numeri suggeriscono che, mentre alcune aziende cercano di sottrarsi a reazioni da parte di gruppi conservatori, rischiano di allontanare una fetta importante del loro pubblico, in particolare le generazioni più giovani, come i millennial e la Gen Z, molto attente ai gioielli di diversità e inclusione.
Tuttavia, va anche considerato che molti di questi brand, come quelli che operano nel settore delle auto, alcolici e moto, hanno un pubblico maggioritario composto da uomini eterosessuali, bianchi e cisgender. Probabilmente, la scelta di ridurre le politiche Dei riflette un rischio calcolato, con l’intento di proteggere il business in un contesto sempre più polarizzato. Gli effetti a lungo termine su dipendenti, clienti e società, però, sono ancora tutti da dimostrare.
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di Simone Gambirasio www.wired.it 2024-09-21 04:50:00 ,