Chiuse le urne, parte la resa dei conti tra i leader dei partiti. Grande sconfitta la Meloni che viene fermata a Roma, frenata di Salvini che perde voti e la sorpresa Berlusconi. Unico vincitore Letta che conquista la Capitale e Torino, si rafforza nel partito e nell’interlocuzione con Draghi.
Meloni la grande sconfitta
È la grande sconfitta. Ma è una sconfitta che ha effetti solo all’interno della coalizione, non all’interno di Fratelli d’Italia dove resta leader indiscussa. Dunque bisogna guardare gli effetti collaterali di questa prima battuta d’arresto – dopo mesi di ascesa nei sondaggi – come si svilupperanno nell’alleanza e soprattutto nella dinamica con la Lega. Il suo primo nemico è infatti quell’area moderata-nordista che peserà ancora di più nel Carroccio. A questo punto non è solo la sua ambizione per la premiership che esce ridimensionata ma la sua linea politica che non appare più vincente. Se ha potuto imporre il suo candidato sindaco nella Capitale è stato proprio in virtù della forza conquistata e di un rapporto di subalternità che lei è riuscita a rovesciare all’interno della coalizione. Adesso, con la sconfitta a Roma, tutto viene rimesso in discussione e si aprirà più di una faglia con Salvini e Berlusconi. Innanzitutto l’asse è apparso troppo sbilanciato a destra e poco del centro. In secondo luogo, la selezione di personale politico non ha passato il test delle urne, sia pure a livello locale.
Per Salvini un’altra frenata
Diceva: vinceremo questa competizione se riusciremo a portare un sindaco in più a dimora. Quindi, è persa. Ma quest’aria di sconfitta l’aveva percepita anche alla fine del primo turno, quando – a caldo – fece autocritica su candidati scelti troppo tardi. Un’ammissione che però non lo salva dalle conseguenze. A questo punto bisogna guardare cosa accadrà nella Lega dove una fronda contro il leader esisteva già prima, quindi, a maggior ragione ci sarà oggi. E solo fino a un certo punto avrà presa l’argomento che tanto non c’è un sostituto del Capitano, perché il declino di una leadership rende necessario lo scouting, come avvenne quando Maroni sostituì Bossi con l’allora sconosciuto Salvini.
Al di là di chi guiderà il Carroccio, tema che sarà dei prossimi mesi, sul tavolo c’è la linea politica perdente imposta dal leader che ha portato a fiancheggiare i “no green pass” dimenticando che la gran parte degli elettori moderati è vaccinata e con certificato. Né è servito dividersi i ruoli, tra il Salvini “ribellista” e Giorgetti “governista”: invece che allargare il perimetro, si è ristretto.
La sorpresa Berlusconi
La sorpresa è lui perché si può dire che aveva ragione. Ragione nel criticare una linea troppo schiacciata sulle ali estreme, ragione nel chiedere un candidato diverso soprattutto a Roma e Milano, ragione perché manca una figura come è stata la sua, quella di federatore del centro-destra. Ma il Cavaliere è stato anche quello che ha messo in dubbio l’approdo a Palazzo Chigi sia di Meloni che di Salvini come premier: in un’intervista poi parzialmente corretta, li aveva giudicati inadeguati rispetto alle sfide italiane e in Europa. E forse ha anche ragione nel mostrarsi un sostenitore di Draghi senza cedimenti all’opposizione di Fratelli d’Italia o sulla doppia linea del capo leghista