La storia della bruttezza ha attraversato diverse fasi ed è stata associata dapprima alla deformazione morale, successivamente al diavolo, poi alla caricatura e infine c’è stata una redenzione della sua natura. Le varie manifestazioni del brutto attraverso i secoli sono più imprevedibili di quanto comunemente si possa pensare.
Nell’arte il brutto è stato inizialmente considerato come l’antitesi del bello e perciò era identificato con il maligno e la morte. Quest’ultima viene spesso raffigurata con le fattezze di uno scheletro nel mezzo di una danza macabra, caratteristica che ritroviamo ad esempio nel film Il settimo sigillo di Bergman.
Celebre la scena iniziale in cui, sulla spiaggia, il cavaliere trova ad attenderlo la Morte, che ha scelto quel momento per portarlo via. Ma impavido decide di sfidarla a scacchi, per rimandare la sua dipartita, e la Morte acconsente al rinvio.
Analizziamo insieme il brutto nel cinema, in tutte le sfaccettature in cui gli autori hanno scelto di rappresentarle.
Elogio della bruttezza: da Lynch a Cronenberg
Il rapporto tra bruttezza e immoralità
La bruttezza esteriore è da sempre incarnazione dell’immoralità interiore, il villano, infatti, è deforme e rozzo, dedito alle più ignobili bassezze.
Il carbonaio Baciccia, ne Il marchese del Grillo di Monicelli, è un emblema di questa caratterizzazione: l’uomo, sempliciotto e incolto, è annientato dal vizio dell’alcol.
Dello stesso avviso è il regista de La mosca, David Cronenberg, che utilizza la trasfigurazione da uomo in mostro come il palesamento di qualcosa che albergava già nell’animo. In questo caso l’egocentrismo del protagonista sfocia in una deformazione fisica, mettendo in atto una metamorfosi orrorifica che segnerà per sempre il pubblico.
Elogio della bruttezza: da Lynch a Cronenberg
Il brutto e il pervertimento morale sono accostati di frequente, come accade nel mondo amorale di Gummo, diretto da Harmony Korine. Soldi, colla da sniffare, gatti massacrati e corpulenti prostitute. Questa è la quotidianità dei due protagonisti che vendono le carcasse esanimi di gatti randagi al macellaio del paese.
Ma anche la pedofilia, le esperienze omosessuali e la violenza sugli animali, tutto viene mostrato in maniera cruda, senza moralismi, creando un senso di straniamento e inquietudine negli spettatori.
L’incarnazione nel sovrannaturale
Durante il Medioevo, in accordo con la cultura cristiana, il brutto viene incarnato dal demonio, un essere malvagio e orrido.
L’esorcista di William Friedkin è forse il film più spaventoso della storia del cinema, in cui il demonio prende possesso del corpo di una ragazzina. Il male viene raccontato con il maggior realismo possibile per entrare nel cuore delle paure più profonde e recondite.
Dopo Satana, è la strega ad essere rappresentata, per antonomasia, come una figura brutta e cattiva. Un essere diabolico, capace di mutare il corso del tempo e di controllare, attraverso gli incantesimi, la coscienza umana.
Suspiria, uno dei cult di Dario Argento, ospita nei sotterranei di un’accademia di danza una diabolica strega, la Madre dei sospiri, intenzionata a fare del male alle allieve.
Dracula di F. Ford Coppola, invece, ci mostra la vita oltre la tomba, presentandoci un vampirismo perturbante. Qui il sospetto diviene generatore di inquietudine e di dannazione eterna, dando vita a un film fuori dal tempo e dagli stili.
Nobiltà decadente
Nel Rinascimento, invece, la categoria del brutto subisce un ulteriore cambio di paradigma e i vizi diventano caratteristici non più negli incolti ma dei nobili.
Ed è quello che, tanti anni dopo, viene raccontato anche da Pier Paolo Pasolini in 120 giornate di Sodoma, un’aspra critica nei confronti dell’alta borghesia. Una serie di sevizie e brutture che rappresentano gli strumenti con cui il regista squarcia la morale borghese e conformista. Un’atteggiamento, quest’ultimo, che deforma la percezione del corpo umano e pretende di determinarne i significati.
Un racconto simile viene fatto Marco Ferreri in La grande abbuffata, parabola della decadenza borghese, soffocata dalla sua stessa cultura dell’eccesso e dello spreco.
Entrambe le pellicole si rifanno ad un carattere grottesco, lo stesso che permea i protagonisti degli episodi del film I mostri, diretto da Dino Risi. Il regista confeziona dei personaggi caricaturali e gioca sull’ambiguità della figura del “mostro”, spingendo lo spettatore a chiedersi chi effettivamente sia il mostro. E ciò mettendo in discussione principi come la legalità, l’onestà e il rispetto.
L’uomo che ride di Paul Leni, invece, ci mostra la bocca sformata di Gwynplaine, paralizzata in un grottesco ghigno. L’atroce certezza su cui la coscienza ritorna dopo essersi abbandonata all’illusione, che fa da ostacolo alla possibilità di superare la dura realtà.
La sublimazione della deformazione
Il terrore della deformità, della volgarità e dell’atrocità ci circonda in innumerevoli immagini e ci accompagna in un cammino del gusto del proibito. Il brutto, l’orrendo e il pauroso si trasformano in sublime quando noi possiamo fruirne ma senza essere esposti a pericoli.
Proprio dai piaceri contro natura nasce il concetto del sublime che ha una stretta connessione con il concetto di morte, perché ci terrorizza e, nel farlo, questo orrore è più forte quanto più è legato alla paura ancestrale dell’uomo, ossia la paura della morte.
In questo filone si inserisce Cremaster di Matthew Barney, una pellicola che ruota attorno alla pulsione primordiale, quella in grado di indurre l’uomo a esprimersi attraverso la mitologia, l’attività sportiva, l’arte, la danza, il sesso e la violenza.
È un percorso che segue lo sviluppo delle società e delle culture attuali, attraverso un processo di metamorfosi in cui l’individuo contemporaneo, privo di un’identità solida, plasma se stesso cambiando pelle, sesso e storia.
Elogio della bruttezza: da Lynch a Cronenberg
La redenzione del brutto
In una società in cui prevale la sfera dell’essere umano e del terrestre sul divino, l’osceno diventa un’orgogliosa affermazione dei diritti del corpo.
In tale categoria si trova The elephant man di David Lynch, allegoria dei pregiudizi e della superficialità della nostra società. Lynch mostra tutta la crudeltà e l’ipocrisia a cui possono arrivare le persone nei confronti di ciò che è diverso dal loro piccolo e limitato mondo.
Il mostro non è mai solo un mostro, come possiamo vedere nella storia raccontata in Frankestein di James Whale. Il film alle origini dell’horror che sprigiona una forza eversiva unica, lasciando trasparire momenti di umanità e di fragilità.
Ma anche la caricatura è stata oggetto di redenzione estetica del brutto, in quanto non si limita a evidenziare una sproporzione né enfatizza tutti gli elementi anomali presenti. Ma fa un uso armonico della deformazione, creando dinamicità, come accade in Pink flamingos di John Waters. Il manifesto della cultura underground che segue le vicende di Divine, nota drag queen, in un mondo che privo di logica morale.
Il riscatto della bruttezza, infine, passa anche e soprattutto attraverso l’elogio dell’imperfezione, come accade in Wonder di Stephen Chbosky. Una lezione di vita che ci insegna a non giudicare un libro dalla copertina, così come una persona dalla sua faccia.
La violenza bruta
Le manifestazioni orribili sono molto frequenti, da un punto di vista fisico ma soprattutto morale, perché stimolano disgusto e spavento, istinto di ribellione e forse anche solidarietà.
Ad oggi è la violenza a destare maggiore scalpore e ripugnanza, sia fisica sia psicologica, come accade in A Serbian movie, La passione di Cristo e Irreversibile, alcuni tra i film più violenti degli ultimi vent’anni.
In questo modo comprendiamo il motivo per cui l’arte nei vari secoli è tornata con insistenza a presentarci il brutto. Per ricordarci che c’è sempre del maligno, del corrotto a questo mondo, ma che a volte quando il brutto è troppo evidente necessario cercare di capire la ragione dietro a tale deformità, considerandola come un dramma umano.
Elogio della bruttezza: da Lynch a Cronenberg
Fonte: Storia della bruttezza di Umberto Eco
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di Veronica Cirigliano
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2024-01-29 15:07:55 ,