Anche se a prima vista possono apparire convincenti, secondo i critici di bitcoin queste tesi non reggono. Pete Howson, professore assistente presso la facoltà di Scienze Ambientali della Northumbria University, paragona le comuni argomentazioni a difesa dell’estrazione di bitcoin a “trucchi di magia“, che oscurano verità scomode e “danno l’illusione di un investimento pulito e redditizio“.
“L’unica differenza tra bruciare metano e bruciare metano per i bitcoin – spiega Howson –, è che la seconda rende più redditizie le aziende che producono combustibili fossili, rallentando la transizione verso alternative verdi“. In alcuni casi – per esempio nello stato di New York e nel Montana – le entrate aggiuntive generate dal mining di bitcoin hanno ridato vita a impianti di combustibili fossili che erano stati chiusi o stavano per chiudere. Nel frattempo, in paesi come l’Islanda, secondo Howson, i minatori di bitcoin facendo concorrenza ad altri soggetti, come gli impianti di riciclaggio, che “non possono accedere” a fonti di energia rinnovabile altrimenti abbondanti. “Non esiste uno spreco di energia sostenibile“, aggiunge il professore.
Se quello generato dal settore delle criptovalute sia davvero uno spreco di energia è un tema al centro del dibattito. Secondo Yan Pritzker, cofondatore della piattaforma di trading di bitcoin Swan Bitcoin, l’attenzione riservata all’impatto ambientale di bitcoin è sproporzionato rispetto alle emissioni prodotte dalla criptovaluta, che secondo le stime si aggirano tra lo 0,1 e lo 0,15 % percento del totale globale. Pritzker si chiede perché bitcoin sia finito sotto i riflettori, quando altre industrie inquinano in quantità maggiori o sono alimentate da un mix di energia più inquinante. La risposta più semplice è che il dibattito si basa su opinioni personali. Se per esempio si ritiene che i bitcoin abbiano un valore sociale superiore a quello del tabacco, un settore responsabile di un volume di emissioni maggiori, l’impatto della criptovaluta sarà più facile da giustificare. Ma se invece la convinzione è che i bitcoin in sostanza siano solo una grande truffa digitale, i conti sono destinati a non tornare.
Questa battaglia ideologica, e l’astio tra i paladini dei bitcoin e i loro critici, fa sì che entrambi gli schieramenti rimangano arroccati sulle rispettive posizioni, complicando le possibilità di un dibattito più sfumato. Secondo de Vries, da un punto di vista tecnico “bitcoin potrebbe passare al PoS senza problemi”. I sostenitori di bitcoin hanno spesso attaccato De Vries, sostenendo che sia incentivato a criticare il bitcoin dai suoi legami con le banche centrali, che i suoi dati non siano corretti e che non tenga conto delle sfumature nell’analisi del rapporto tra bitcoin e l’ambiente.
Lo scontro con gli ambientalisti
I bitcoiner sono entrati in conflitto anche con le associazioni ambientaliste. Il 23 marzo, gli attivisti di Greenpeace hanno inaugurato negli Stati Uniti un’installazione artistica chiamata Skull of Satoshi, un’allusione allo pseudonimo del creatore di bitcoin, Satoshi Nakamoto. L’opera, alta tre metri, raffigura un teschio decorato con vecchie schede madri, con le orbite che si illuminano di rosso e delle ciminiere che espellono fumo sulla parte superiore. L’installazione doveva rappresentare il duplice impatto dell’estrazione di criptovalute, le emissioni di anidride carbonica e i rifiuti elettronici, spiega Rolf Skar, direttore della campagna di Greenpeace USA. Su Twitter però il teschio è stato è diventato rapidamente un simbolo dei sostenitori dei bitcoin, che hanno iniziato a usarlo come nuova immagine del profilo.
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di Joel Khalili www.wired.it 2023-04-11 16:25:50 ,