L’alleanza potrebbe vedere i paesi delle foreste pluviali avanzare proposte congiunte sul mercato e sui finanziamenti, da sempre un punto debole nei colloqui delle Nazioni Unite sul clima e sulla biodiversità. L’obiettivo è incoraggiare i paesi sviluppati a finanziare la conservazione del patrimonio forestale, fondamentale per limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali.
Il Brasile, l’Indonesia e la Repubblica democratica del Congo ospitano il 52% delle foreste tropicali primarie rimaste al mondo. I tre paesi hanno necessità differenti e vivono condizioni molto diverse tra loro, ma hanno un obiettivo comune: proteggere le foreste dell’Amazzonia, del bacino del Congo, del Borneo e di Sumatra. Ecosistemi fondamentali per la stabilità climatica globale, alle prese con numerose minacce: dal disboscamento per uso commerciale fino all’estrazione mineraria e allo sfruttamento illegale.
Già alla Cop26 di Glasgow era stato firmato un accordo per arrestare e invertire il trend della deforestazione entro il 2030, ma la trattativa sull’Opec delle foreste pluviali rappresenta un passo in più, pur non rientrando direttamente nell’ambito della Cop27.
L’alleanza anti-petrolifera
L’accordo potrebbe creare una struttura simile all’organizzazione dei paesi produttori di petrolio, che coordina i livelli di produzione e il prezzo del combustibile fossile. Prima di essere eletto, Lula ha dichiarato che l’alleanza potrebbe essere estesa ad altre nazioni come il Perù e la Cambogia. Un fronte che potrebbe incassare appoggio con il tempo.
L’attuazione di questo progetto potrebbe riuscire a proteggere la foresta amazzonica dal raggiungimento del punto critico, rimuovendo milioni di tonnellate di CO2 dall’atmosfera per diversi decenni. Elemento fondamentale per la riuscita del piano, però, sono le popolazioni indigene: qualsiasi alleanza dovrà riconoscere il ruolo delle comunità locali nella protezione delle foreste. L’impegno a proteggere i diritti degli indigeni, assunto lo scorso anno al vertice sul clima di Glasgow, è particolarmente importante. Alla Cop26 la voce delle popolazioni indigene è stata ascoltata per la prima volta al tavolo dei relatori.
I leader delle comunità, dall’Artico all’Amazzonia, hanno parlato del ruolo che possono svolgere nell’affrontare l’emergenza climatica e nel proteggere la biodiversità. Non tutelare i diritti di questi popoli rischia di gettare nel caos ogni velleità dei singoli governi: d’altronde, gli sforzi per un pianeta più sostenibile passano tanto dal punto di vista ambientale e scientifico, quanto da quello sociale e umanitario.
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di Francesco Del Vecchio www.wired.it 2022-11-13 05:50:00 ,