Gigi Lentini, intervista a Repubblica: “Quella sera dell’incidente in macchina cambiò tutto” – Calcio

Gigi Lentini, intervista a Repubblica: “Quella sera dell’incidente in macchina cambiò tutto” – Calcio

Gigi Lentini, intervista a Repubblica: “Quella sera dell’incidente in macchina cambiò tutto” – Calcio


TORINOGigi Lentini racconta di avere vissuto molte vite, ma di essere sempre stato la stessa identica persona, spesso non compresa. Chi ama il calcio, lo ricorda irresistibile attaccante del Toro di Mondonico e del Milan, che lo acquistò tra rivolte di piazza. Poi quel terribile incidente d’auto nell’estate del 1993, il coma, i pettegolezzi, il lento ritorno alla vita e allo sport. Ma niente è stato più come prima, per questo talento grande e in parte inespresso.

Lentini, com’è oggi la sua vita a 54 anni?

“Ho riscoperto il calcio dopo esserne stato lontano per tanto tempo. Faccio scouting in Piemonte per il Monza del dottor Galliani, che ho conosciuto negli anni rossoneri e mi è stato sempre vicino. Mi piace andare a vedere le partite dei ragazzini, per cercare se c’è tra loro qualche perla nascosta”.

E cosa vede? Come sono questi piccoli atleti? E i loro genitori?

“Loro sono com’eravamo noi, vogliono divertirsi e amano il pallone. Sognano in grande, com’è giusto a quell’età. Le famiglie le vedo un po’ agitate, però non ricordo com’erano le nostre. Penso che in fondo non sia cambiato niente. Mio papà e mia mamma mi seguivano sempre, io però pensavo a giocare e non guardavo mai la tribuna. Chissà, forse anche loro se la prendevano con l’arbitro e con l’allenatore”.

Pensa che i giovani calciatori di oggi siano più soli?

“Ma no, perché? Sanno che la strada non è comoda, e chi ha le doti per percorrerla deve accettare di diventare un piccolo professionista già a tredici o quattordici anni. Anche ai miei tempi si girava l’Italia per giocare a pallone, si stava nei collegi, qualcuno continuava a studiare e qualcuno no”.

Cosa pensa delle scommesse che hanno tentato alcuni suoi giovani colleghi?

“La gente ha sempre giocato d’azzardo, l’importante è non prendere il vizio. Perché uscire dalle dipendenze è molto difficile, e il vizio del gioco è come l’alcol o la droga. Però ci si può controllare”.

Lei ha mai giocato?

“Sì, prima di tornare nel mondo del calcio. Ora sono tesserato per il Monza, e i tesserati non possono scommettere. Io comunque non ho conosciuto neanche una persona che non giocasse almeno un po’”.

Sappiamo che lei è molto forte a biliardo. Conferma?

“E’ una passione, me la cavo finché non incontro i campioni e allora la musica cambia”.

E il calcio, a parte i ragazzini, lo segue ancora?

“Si gioca ogni giorno, se dovessi guardare tutto non uscirei più di casa. Mi limito a seguire in tivù le partite di cartello. Penso che si giochi troppo, è uno stress insostenibile per il corpo e per la mente, non si può essere sempre concentrati, si rischiano molti più infortuni”.

Tanti calciatori della sua epoca sono diventati opinionisti, oppure allenatori o dirigenti. Lei è sparito. Perché?

“Del calcio mi è sempre piaciuto il campo, il resto no. Non mi sono preparato al dopo perché non faceva parte di me. Non amo chiacchierare, dire la mia su tutto. Mi tengo la mia vita da persona normale, cerco di restare in forma in palestra. Sono un abitudinario e non mi piacciono le cose stravaganti. A fine carriera avevo continuato a giocare un po’ con i dilettanti, poi ho avuto un incidente in moto e mi sono fatto male al ginocchio: quel tempo era finito”.

Produce ancora miele?

“No, è stata una bella avventura però ho avuto problemi col mio socio e ho lasciato perdere. Però non era male avere una piccola azienda agricola qui dalle mie parti, a Carmagnola”.

Cosa pensa della sua carriera?

“Che potevo fare di più, diventare molto di più. Ma non ero la testa di cavolo che dicono, mi facevo i fatti miei. Sbagliai a giurare che non avrei mai lasciato il Toro, il presidente Borsano aveva grossi problemi economici e doveva vendermi per forza. A 23 anni mi trovai in mezzo alla tempesta”.

Berlusconi la volle a tutti i costi.

“Mi mandò a prendere due volte con l’elicottero. La prima volta gli dissi no proprio a casa sua e la seconda non avevo scelta, però non è stata una questione di soldi. Non li ho mai messi tra le priorità”.

Il suo Torino era formidabile.

“La stagione della finale di Coppa Uefa contro l’Ajax fu formidabile: avevamo dato una lezione di calcio anche al Real Madrid. E poi c’era Mondonico, un uomo eccezionale. Quando mi volle all’Atalanta, nella seconda parte della carriera, mi chiamò e mi disse: “Gigi, hai finito le vacanze? Vuoi venire con noi?”. Andò molto bene. Mi sentivo di nuovo io”.

Il Milan la deluse?

“Ma no, il primo scudetto fu bellissimo. Purtroppo, quella sera in macchina cambiò tutto, però è già tanto non essere deceduto. Sono vivo, vegeto e lucido e mi basta così. Per cui, dico grazie alla sorte”.

Si fecero molti pettegolezzi sulla sua storia d’amore con Rita Schillaci, dalla quale lei stava andando la sera dello schianto.

“Che problema c’era? Lei si era già lasciata, io ero libero. Corse all’ospedale per me: se avessimo avuto qualcosa da nascondere, non l’avrebbe fatto”.

Cosa ricorda di quei giorni?

“Sono stato in coma, e quando mi sono risvegliato parlavo come un bambino. I giorni passavano, io recuperavo con fatica, ero rallentato e non me ne accorgevo. La lentezza l’avevo anche quando tornai in campo, mi servì del tempo ma diventai di nuovo fortissimo, anche se ormai c’era quel luogo comune: “Lentini non è più lui”. Fesserie”.

Davvero dentro di lei non era cambiato niente?

“Veramente, qualcosa sì: avevo perso la voglia di lottare. Mi scoraggiai tantissimo quando Capello mi escluse dalla finale di Coppa dei Campioni del ’95 a Vienna, tra Milan e Ajax. Stavo benone e fu un colpo molto duro, un bivio. Posso dire che la mia carriera sia finita quel giorno”.

Nessun rimpianto?

“Non avere giocato i Mondiali. Senza l’incidente d’auto, a Usa ’94 sarei andato di sicuro e penso che sarei stato titolare. Pazienza, si vede che era destino. Mi basta essere ancora qui a raccontarlo, a ridere e scherzare. Dopo avere rischiato di morire ho un po’ cambiato il modo di guardare le cose. Da quella sera, so che tutto può esserci tolto in un attimo”.

Che persona pensa di essere?

“Rispettosa, tranquilla. Sono un uomo normale, ma lo ero anche da calciatore ricco e famoso. Davvero non mi sono mai sentito un vip”.

Pensa spesso alla vita di prima?

“Quasi mai. Non vivo di ricordi, avrò tenuto in tutto un paio di maglie da calcio. Quel Gigi Lentini, per me, è qualcuno sempre più lontano”.

E che padre pensa di essere?

“Mi auguro buono, forse non un modello, ma i modelli fanno le sfilate… Nicolas ha 27 anni, è laureato e lavora nella pubblicità. Rebecca è di due anni più piccola e fa l’impiegata. Mi sono separato molto presto dalla loro mamma, dunque non ho vissuto la crescita da piccoli, però ci sono sempre stato. Ora vivo da dieci anni con Michaela e ci vogliamo bene. Non credo che esista qualcosa di più importante di questo: amare ed essere amati”.



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