Il centrodestra alle urne batterebbe anche una coalizione «allargata». Ma c’è il fattore centro | Il sondaggio di Pagnoncelli

Il centrodestra alle urne batterebbe anche una coalizione «allargata». Ma c’è il fattore centro | Il sondaggio di Pagnoncelli

Il centrodestra alle urne batterebbe anche una coalizione «allargata». Ma c’è il fattore centro | Il sondaggio di Pagnoncelli


di Nando Pagnoncelli

La coalizione «classica» avrebbe un forte vantaggio sui giallorossi, margini stretti contro un’alleanza più ampia di centrosinistra. Un ipotetico listone centrista con dentro FI porterebbe a un pareggio tra i poli

La nascita del governo Draghi, nel febbraio di quest’anno, ha fatto scivolare la politica in secondo piano agli occhi dei cittadini. Infatti, nonostante l’importanza che i partiti hanno avuto nel sostenere l’azione del governo (come peraltro sottolineato dal premier nella conferenza stampa di fine anno), l’attenzione dell’opinione pubblica è stata catalizzata dalle misure di contrasto all’emergenza sanitaria (la campagna vaccinale in primis) e dai temi economici molto più che dalle questioni politiche.

Dopo un triennio di grandi cambiamenti nelle intenzioni di voto e nella popolarità dei leader, analizzando gli orientamenti mensili degli elettori il 2021 ha rappresentato un anno di assestamento con poche eccezioni: il calo della Lega e l’aumento di FdI e la flessione del gradimento di Conte, divenuto leader del M5S, dopo aver guidato due esecutivi composti da maggioranze diverse.

Chi guadagna e chi perde

La relativa stabilità nelle preferenze politiche nasconde alcune dinamiche niente affatto trascurabili in termini di flussi elettorali e profilo degli elettori. Rispetto ai risultati ottenuti alle Europee del 2019, i flussi in entrata e in uscita più rilevanti riguardano i due principali partiti del centrodestra che risultano in forte competizione tra loro: la Lega perde oltre due elettori su cinque (43,9%) tra coloro che l’avevano votata nel 2019, uno su quattro (25,5%) voterebbe FdI, il 4,1% Forza Italia e l’8,5% si dichiara indeciso o propenso ad astenersi; il partito di Salvini ha inoltre ridotto significativamente la capacità di attrarre nuovi elettori, dato che quasi nove su dieci (85,8%) tra coloro che oggi sono propensi a votare Lega, l’avevano votata già nel 2019. Al contrario FdI può contare sulla fedeltà dell’83,6% dei propri elettori alle Europee (è il partito con la fedeltà più elevata) che oggi rappresentano «solo» un quarto (25,7%) di coloro che sono propensi a votare il partito di Giorgia Meloni che ha mostrato una forte capacità di attrazione, soprattutto di elettori provenienti dalla Lega (41,7%), dall’astensione (19,8%), da FI (5,5%).

Riguardo alle altre forze politiche, il Pd può contare un una fedeltà di due elettori delle Europee su tre (66,9%) con flussi in uscita diretti prevalentemente verso l’indecisione/astensione (14,4%), nonché verso i due partiti cui hanno dato origine Renzi e Calenda con l’uscita dal Pd (complessivamente 5,9%), e verso le forze alla sua sinistra (4,1%) e il M5S (3,4%); contestualmente l’avvicendamento di Zingaretti con Letta alla guida dei dem ha fatto registrare un flusso in entrata proveniente dall’astensione pari al 23,5% e, in subordine, dalle altre liste del centrosinistra (4,1%) e dal M5S (4%). Quest’ultimo, che alle Europee subì una grave perdita di elettori (6,5 milioni) rispetto alle Politiche, oggi con la leadership di Conte può contare sulla fedeltà del 62,5% dei sostenitori del 2019 (i flussi in uscita sono diretti verso l’astensione per il 18,3%, le forze del centrodestra per il 9,1% e il Pd per il 5,5%) e su un forte ricambio di elettorato, tenuto conto che il 30,5% di coloro che sono attualmente propensi a votare i pentastellati proviene da coloro che si astennero alle Europee.

Gli equilibri possibili

Nel dibattito in corso da diversi mesi sull’elezione del prossimo presidente della Repubblica viene spesso evocata la possibilità di elezioni politiche anticipate. In tal caso, che Parlamento avremmo sulla base degli orientamenti di voto più recenti? L’analisi odierna tiene conto di un campione di intervistati di grandi dimensioni (31.400 interviste), distribuito in modo «granulare» nei singoli collegi elettorali, ed è basata su scenari di coalizioni diverse e sull’aggregazione di alcune forze minori attualmente stimate al di sotto della soglia di sbarramento prevista dalla legge elettorale. Per l’approfondimento degli aspetti metodologici si rinvia alla nota pubblicata a margine; inoltre, nell’analisi dei dati si raccomanda grande cautela in ragione di due elementi: innanzitutto, le stime riguardanti i collegi maggioritari sono state realizzate in assenza dei candidati, che possono «spostare voti»; va poi considerato l’elevato numero di collegi «contendibili» (quelli più incerti, nei quali la differenza tra le coalizioni è inferiore al 5%), che al momento è pari a 65 su 147 alla Camera e 35 su 74 al Senato.

Il primo scenario che abbiamo considerato fa registrare la netta affermazione della coalizione di centrodestra (Lega, FdI e FI) su quella giallorossa (Pd, M5S e una lista Sinistra italiana-Art.1): 211 seggi a 169 alla Camera e 104 a 84 al Senato. I restanti seggi attribuiti su base proporzionale sarebbero assegnati a due ipotetiche liste «centriste», nate dall’aggregazione di Azione e +Europa la prima e la seconda da Italia viva, Coraggio Italia e Noi con l’Italia. Il secondo scenario prevede la presenza di una coalizione composta da Forza Italia alleata alle due liste «centriste». In questo caso si otterrebbe un pareggio tra la coalizione giallorossa accreditata di 182 seggi alla Camera e 90 al Senato e quella tra Lega e FdI che si attesterebbe a 181 seggi alla Camera e 91 al Senato. Ago della bilancia la coalizione di centro che otterrebbe 35 deputati e 16 senatori. Il terzo scenario, basato su una coalizione di (quasi) tutti i partiti contrapposti alle tre forze del centrodestra, farebbe registrare un vantaggio di quest’ultimo sia alla Camera (200 a 190) sia al Senato (99 a 94), decisamente più risicato rispetto al primo scenario.

Sulla base di questi scenari emergono due interrogativi. Il primo riguarda le forze
che al momento sono stimate al di sotto della soglia di sbarramento: saranno capaci, pena lo loro sopravvivenza, di aggregarsi, tenuto conto del fatto che la maggior parte di queste formazioni è guidata da esponenti dalla forte personalità, dunque presumibilmente poco inclini a cedere la propria leadership confluendo in una nuova lista? L’altro interrogativo riguarda Forza Italia: nel secondo scenario il partito di Berlusconi otterrebbe meno della metà dei parlamentari rispetto al primo scenario (27 contro 56) ma sarebbe il perno della coalizione di centro che risulterebbe decisiva per la costituzione di una maggioranza di governo; dunque un bel dilemma: conquistare più eletti ma contare meno, come terza forza nella coalizione nettamente vincente di centrodestra, oppure ottenere meno eletti ma contare di più nel futuro esecutivo? Quest’ultimo forse è solo un dilemma apparente, dato che da sempre dopo le elezioni si assiste regolarmente ad una vera e propria transumanza dei parlamentari (ben 211 hanno cambiato abitazionecca dall’inizio della legislatura e alcuni di essi più di una volta). E gli stessi partiti sembrano avere una libertà d’azione assoluta, basti pensare che nella attuale legislatura, con la sola giustificazione rappresentata dalla situazione di emergenza che ha determinato la nascita dell’attuale governo di larghe intese, la Lega ha partecipato a due esecutivi su tre, Forza Italia a quello attuale, mentre Fratelli d’Italia è sempre stata all’opposizione, in barba all’appartenenza alla stessa coalizione che si presentò alle Politiche del 2018. Per non parlare dei due partiti agli antipodi tra loro all’inizio della legislatura (Pd e M5S) che si sono ritrovati alleati negli ultimi due governi. È proprio vero che la politica è l’arte del possibile.

31 dicembre 2021 (modifica il 31 dicembre 2021 | 11:53)



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Nando Pagnoncelli , 2021-12-31 12:30:11
www.corriere.it

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