Il dibattito del 27 giugno potrebbe passare alla storia come quello che ha deciso le presidenziali statunitensi del 2024 a favore del sulfureo Donald Trump, consentendogli l’agognata rivincita sul presidente Joe Biden, che quattro anni fa lo sconfisse con un margine di 74 voti elettorali e 7 milioni di voti popolari. A fare la differenza non sono state le risposte dei candidati, ma il loro aspetto e portamento. Da una parte, un Trump dinamico e attivo, se non proprio giovanile; dall’altra, un anziano signore, lento nei movimenti e talvolta sperduto.
A voler cercare un precedente, si potrebbe trovarlo nel dibattito tra Richard Nixon e John Kennedy del 26 settembre 1960, il primo trasmesso in tv. Nixon, con la barba non fatta dal mattino e sudato sotto le forti luci dello studio, sembrò malato e a disagio, mentre il sorriso e i capelli biondi di Kennedy lo fecero sembrare un divo del cinema. La differenza d’età, quattro anni appena, a favore del democratico, sembrò moltiplicata per cinque. Altrettanto è accaduto giovedì sera negli studi CNN di Atlanta, questa volta a favore del repubblicano. I 48 milioni di americani che hanno seguito il dibattito hanno visto con i propri occhi la fatica fatta da Biden per raggiungere e lasciare il podio, confermando – metà con gioia, metà con disperazione – uno dei punti di forza della campagna trumpiana.
È bene intendersi: dietro l’aspetto energico, sta lo stesso Trump di sempre, forse addirittura imbaldanzito dalla necessità di combattere il danno d’immagine delle condanne subite, puntualmente citate da Biden. Dall’economia all’ambiente, Trump non ha esitato a millantare successi inesistenti, aiutato dalla rinuncia a qualsiasi fact-checking da parte dei giornalisti della CNN chiamati a moderare. Così nessuno ha ricordato che già Jimmy Carter (presidente dal 1977 al 1981) non aveva iniziato guerre, che Trump è stato il primo presidente dopo Hoover (1929-1933) a chiudere il mandato con occupazione inferiore a quella iniziale, che la sua amministrazione ha lavorato costantemente per ridurre il ruolo dell’Environmental Protection Agency. Peggio, nessuno ha stigmatizzato la minacciosa promessa di indagare su Biden il giorno dopo la fine della presidenza.
Altrettanto chiaro è però che la cifra del dibattito è stata l’occasionale impappinarsi di Biden, confuso nell’esporre risposte e soluzioni che aveva con tutta evidenza ben preparato. In quei momenti, subito estratti e rimbalzati su social e tv, il presidente è apparso fisicamente (e non politicamente) impari alle sfide di guidare una grande nazione. In pochi minuti si è liquefatta la rimonta che il New York Times aveva annunciato appena il 25 giugno, riferendo che dalla media dei sondaggi i due candidati erano testa a testa con il 46% di preferenze ciascuno e Trump in vantaggio in cinque Stati in bilico. Se nel 1960 lo slogan democratico contro Nixon era stato «comprereste un’auto usata da quest’uomo?», nel 2024 quello repubblicano contro Biden potrebbe suonare pressappoco «lascereste guidare la vostra auto a questo vecchietto?».
Mentre il campo repubblicano gongolava, quello democratico ha portato allo scoperto la diffusa delusione. Dall’editorialista del Times Thomas Friedman all’ex collaboratore di Obama Van Jones, nessuno ha saputo trattenere la richiesta di cambiare in corsa il proprio candidato. Già, ma con chi? Scartata Michelle Obama, che ha più volte smentito, si passa alla vice presidente Kamala Harris, naturale ruota di scorta, al governatore della California Gavin Newsom. C’è chi immagina i governatori J.N. Pritzker (Illinois) e Gretchen Whitmer (Michigan), chi propone l’usato garantito Hillary Clinton o sogna il senatore nero della Georgia Raphael Warnock. A prescindere dal nome, costruire un candidato in poche settimane è un’impresa titanica, che ha sinora trattenuto tutti dal tentarla. Senza contare che, poche ore dopo la débâcle, Biden ha affrontato con molta energia un comizio in North Carolina, respingendo con fermezza l’idea di farsi da parte. Punto centrale: «Nei dibattiti non sono bravo come una volta, ma so distinguere giusto e sbagliato».