“Il mondo dell’arte e della sostenibilità si attraggono e si attraversano. Penso che artiste e artisti abbiano l’abilità, e anche la fortuna, di poter affrontare tematiche complesse come la crisi climatica e il disastro ambientale in modo aperto e immaginativo. Possono descrivere il mondo nella sua crisi più profonda, sia immaginare universi alternativi e possibili soluzioni”, dice Cecilia Alemani, curatrice della Biennale Arte di Venezia giunta quest’anno alla 59esima edizione dal titolo “Il latte dei sogni”. Più che un tema è una riflessione. In un mondo in cui il rapporto tra l’uomo e l’ambiente è così stretto, l’arte (come spesso accade) può aiutarci a riflettere. Per salvarci.
“Ma come sta cambiando la definizione di umano? Quali sono le differenze che separano il vegetale, l’animale, l’umano e il non-umano? Quali sono le nostre responsabilità nei confronti dei nostri simili, delle altre forme di vita e del pianeta che abitiamo? E come sarebbe la vita senza di noi?” Interrogativi che la curatrice ha voluto inserire nella presentazione della Biennale Arte, per spiegare fino in fondo quanto “la ricerca si concentra attorno a tre aree tematiche: la rappresentazione dei corpi e le loro metamorfosi; la relazione tra gli individui e le tecnologie; i legami che si intrecciano tra i corpi e la Terra”.
A Cecilia Alemani, che vive tra gli Stati Uniti e l’Europa, abbiamo posto alcune domande dopo l’appello lanciato dagli scienziati del clima ai politici di tenere al centro dei loro programmi in vista delle elezioni, il tema dell’ambiente e della sostenibilità. Appello rilanciato dalla redazione di Green&Blue con una petizione che ha quasi raggiunto le 200mila firme avviandosi a diventare tra le 50 più popolari di sempre sulla piattaforma Chiange.org Italia. Tra i primi sostenitori il Premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi. Per Cecilia Alemani il mondo dell’arte e della sostenibilità ambientale non sono mai stati tanto vicini.
Prima di tutto, cosa significa ‘sustainable art’?
“Può significare tante cose: un’opera d’arte che usi materiali riciclati per evitare sprechi oppure un’opera che attraverso la semplicità dei materiali rifletta su cosa possa essere arte, penso all’Arte Povera italiana. Infine anche un’opera che sia a zero carbon footprint, come una performance di Alexandra Pirici, che non richiede produzione, spreco di materiali, manutenzione e storage. È un’opera effimera, che esiste solo nel momento della ricezione”.
Qual è il messaggio che arriva dagli artisti in relazione alle grandi sfide che riguardano il futuro del Pianeta?
“Molte artiste e artisti in mostra introducono tematiche ambientali nelle proprie opere. I messaggi variano dai più ottimisti, che immaginano un futuro ibrido e di coesistenza tra uomini e altre specie, a quelli più cupi, che guardano alle devastazioni del nostro pianeta denunciando aspramente abusi e ingiustizie. Per esempio, l’artista Inuit Shoovinai Ashoona immagina un mondo in cui umani e animali possano vivere in sinergia, condividendo la terra in modo armonioso. L’artista lituana Egl? Budvytyt? in un video poetico e affascinante segue un gruppo di ragazzi nelle foreste di licheni mentre intonano una canzone che ricorda le parole della grande biologa Lynn Margulis. Britta Marakatt-Labba ricama scene di vita quotidiana della cittadinanza Sami che vive in armonia con le foreste di betulle della penisola scandinava e con le renne. L’artista etiope Elias Sime crea opere riciclando rifiuti del mondo tecnologico, usando cavi elettrici, vecchie tastiere, chip di computer per comporre grandi quadri astratti e colorati. Scene meno idilliache invece sono descritte nelle opere dell’artista e regista libanese Ali Cherri, che guarda alle devastazioni ambientali e sociali in Sudan causate dalla costruzione di una diga sul fiume Nilo, raccontate attraverso la lente del realismo magico e della fiaba. L’artista indiano Prabhakar Pachpute in una tela dalle grandi dimensioni descrive un’altra devastazione, quella dell’industria mineraria nella sua India. L’artista canadese Kapwani Kiwanga utilizza il linguaggio dell’astrazione per evocare un altro grande elemento di crisi del nostro pianeta: l’industria del fracking, a cui l’artista fa riferimento attraverso un’installazione che unisce grandi tele colorate che evocano i colori del deserto texano e sculture di vetro che contengono sabbia di silicio, utilizzata proprio nei processi di estrazione del gas del fracking“.
Come è cambiata secondo lei la Biennale e cosa sta facendo sul fronte della sostenibilità?
“Come molte istituzioni nazionali e internazionali, dal 2021 La Biennale di Venezia presieduta da Roberto Cicutto ha avviato un percorso di rivisitazione di tutte le proprie attività secondo principi consolidati e riconosciuti di sostenibilità ambientale. L’obiettivo è di estendere il raggiungimento della certificazione della “neutralità carbonica”, ottenuto nel 2021 per la 78esima Mostra del Cinema, a tutte le attività programmate dalla Biennale: la Biennale Arte, i Festival di Teatro, Musica e Danza e la 79esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica che sta per iniziare (31 agosto – 10 settembre). Un percorso che ovviamente sarà lungo, soprattutto per una grande istituzione come La Biennale di Venezia anche perché il piano di azione non è solo volto a monitorare l’impatto ambientale, ma a ridurlo orientando le scelte verso un modello più sostenibile. Dal consumo efficiente delle risorse, fino all’integrazione con i principi di economia circolare. Tra le modalità per raggiungere questo obiettivo c’è innanzitutto il riutilizzo e la scelta di materiali riciclabili per gli allestimenti e la richiesta di criteri di sostenibilità ambientale nelle gare d’appalto dei fornitori; in secondo luogo l’utilizzo di energia elettrica fornita integralmente da fonti rinnovabili e infine la sensibilizzazione dei visitatori”.
Abbiamo visto proprio alla Biennale quanto l’uso stesso dei materiali, come la terra, può contenere un messaggio ambientale. Il mondo dell’arte e della sostenibilità sono davvero così vicini?
“Il mondo dell’arte e della sostenibilità si attraggono e si attraversano allo stesso tempo, generando opere e conversazioni ormai fondamentali. Penso che artiste e artisti abbiano l’abilità – e ogni tanto anche la fortuna – di poter affrontare tematiche complesse come la crisi climatica e il disastro ambientale in modo aperto e immaginativo, e non necessariamente didattico. Possono sia descrivere il mondo nella sua crisi più profonda, sia immaginare universi alternativi e possibili soluzioni. Per esempio, l’opera ambientale della Colombiana Delcy Morelos immerge lo spettatore in un labirinto fatto di terra e spezie, ricordandoci come un materiale così umile e comune come la terra sia in fondo l’origine della vita. Oppure il grande giardino messo in scena da Precious Okoyomon, dove sculture umanoidi sono completamente avvolte e inghiottite da una pianta rampicante molto invasiva – il poligono – creando un’immagine memorabile dove la natura si riprende il controllo sopra l’umano”.
Lei vive a New York, cosa pensa del pacchetto norme sul clima appena varato?
“È un inizio fondamentale. Penso che si possa e debba fare molto di più, soprattutto in una società come quella statunitense che vive in automobile e perennemente con l’aria condizionata ai massimi livelli”.
L’Europa e l’Italia potrebbero impegnarsi di più?
“Penso che si possa sempre fare di più e che si possa agire su tanti livelli diversi. Mi piace pensare che non si usino più bottiglie di plastica, per esempio, ricorrendo semplicemente a fontane di acqua potabile ovunque, con tante borracce disegnate da artisti”.
Qual è secondo lei la prima opera d’arte della storia ad aver sollevato il problema del clima e dell’ambiente?
“Forse l’arte rupestre di Lascaux, che celebrava la comunione tra vita umana e animale. Ma più recentemente penso anche ai grandi progetti di Land Art degli anni ’70 che hanno immaginato l’opera d’arte non come un oggetto commerciale, da appendere a un muro, mettere in una cassa e conservare in un magazzino per anni e anni, ma come un intervento nel paesaggio che usi proprio ciò che ci circonda, il deserto, una foresta, un fiume, come materiale artistico”.
Cosa può fare di più l’arte per incoraggiare l’opinione pubblica a trovare un nuovo modo di pensare nei confronti del Pianeta?
“Artiste e artisti hanno il potere di essere liberi di creare mondi e di mostrarci anche il mondo in cui viviamo con occhi diversi: hanno la libertà di raccontare, immaginare, criticare e perché no, anche sognare. Guardiamo a loro come guide per un futuro migliore!”
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[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-08-24 15:17:29 ,
www.repubblica.it
[email protected] (Redazione di Green and Blue) , 2022-08-24 15:17:29 ,
Il post dal titolo: L’arte di creare un mondo migliore secondo Cecilia Alemani: “La politica può fare di più per evitare il disastro climatico” scitto da [email protected] (Redazione di Green and Blue) il 2022-08-24 15:17:29 , è apparso sul quotidiano online Repubblica.it > Green and blue