Il liceo del made in Italy nasce già con una bella sanzione da pagare. Almeno 100mila euro, stando al disegno di legge proposto dal vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, in quota Fratelli d’Italia, che prevede appunto l’impiego assoluto della lingua italiana negli enti pubblici e privati, sistema scolastico incluso. Battute a parte, vale la pena chiedersi in che cosa consista questa progressiva operazione sub-culturale innescata dalla destra di governo. Se stiano cioè tirando la corda, per capire fin dove possano spingersi e fino a che punto gli italiani siano disposti a sopportarne le provocazioni fuori tempo e in odor di anni Trenta, o se ci credano davvero, da subito.
Il liceo del made in Italy, sull’onda del quasi omonimo ministero affidato al fedelissimo Adolfo Urso (sanzioni pure a quello, Rampelli prenda nota), non è una novità. Si era sentito in campagna elettorale ed è parte di un disegno di legge ma la questione non è cambiata: non si sa che cosa sia. O meglio: certo che si sa. È anzitutto il fantoccio ideologico che serve alla destra per alimentare la narrazione sovranista contro i licei tradizionali, dal classico allo scientifico, considerati riserva dorata dei figli della sinistra dei salotti buoni. Il cui allargamento delle tipologie, come sempre senza timore di incoerenze e figuracce, risale in realtà all’epoca di Letizia Moratti ministra dell’Istruzione nei governi Berlusconi II e III. I licei sarebbero colpevoli di non formare adeguatamente gli studenti e non offrire loro sbocchi lavorativi. Non alla pari – questa la tesi di fondo – di istituti tecnici e professionali, “distrutti” dal centrosinistra, come ha spiegato sempre nel corso dello stesso evento a Vinitaly la ministra del Turismo Daniela Santanchè.
In termini di contenuti e programmi, il Corriere ha individuato la proposta di Meloni – partendo appunto da un disegno di legge depositato all’inizio dell’anno – in un liceo che in realtà già esisterebbe. Con poche differenze, potrebbe essere quello di scienze umane a opzione economico-sociale, con una riverniciata autarchica che a poco o nulla servirebbe per competere sui mercati internazionali. Che questa opzione venga o meno introdotta, il punto non cambia: l’obiettivo non è infatti ampliare l’offerta scolastica (né salvare gli istituti tecnici, che si sono serenamente salvati da soli in questi anni) ma tentare, pezzo dopo pezzo, settore dopo settore, di dare la forma preferita alla cultura e alla società italiana.
Un passo alla volta, una provocazione al giorno, questi semi piantati fra una fiera e un’intervista, un comizio e una trasmissione tv sono utili prima di tutto a tastare le reazioni e capire se si possa o meno osare per poi eventualmente marcare il territorio con un provvedimento di legge. Dagli aspetti che fanno meno notizia, come la nomina di persone vicine alla guida dei musei statali come il Maxxi di Roma, a quelli più farseschi come il falso stop alla “carne sintetica” che sintetica non è (ma coltivata in laboratorio) o la crociata contro la farina di grillo vietnamita, passando per i diritti: quelli negati ai bambini e alle famiglie arcobaleno.
Da una parte è senz’altro distrazione – o meglio, distorsione – di massa, certo. Le campagne di questo genere servono a coprire ritardi e incompetenze, su tutte quelle legate ai fondi del Pnrr che si porteranno dietro l’ennesima retrocessione dell’Italia fra gli ultimi della classe in Europa, i proverbiali inaffidabili per la gioia dei governi nordici. Dall’altra, però, commetteremmo un errore a sottovalutare le sparate-proposte che a cadenza quotidiana arrivano specialmente dal fronte di Fratelli d’Italia o, peggio, a liquidarle con una risata: sono infatti l’irritante rumore di fondo dal quale, prima o dopo (e per i figli delle coppie omosessuali è già successo), qualcosa si concretizza, prende forma e si innesta nel tessuto italiano. Cambiandone per un periodo, e magari irrimediabilmente, i connotati.
Leggi tutto su www.wired.it
di Simone Cosimi www.wired.it 2023-04-04 08:16:56 ,