Secondo un nuovo studio le rocce nel mare sarebbero ricche di metalli e quindi in grado di produrre aiuto nelle profondità marine. Mentre dalle alghe, indispensabili per gli ecosistemi, sarebbe possibile estrarre terre rare.
Da gennaio l’International Seabed Authority (ente intergovernativo fondato per coordinare e controllare tutte le attività connesse ai minerali presenti nei fondali marini internazionali oltre i limiti delle giurisdizioni nazionali) avrà una nuova segretaria generale, la brasiliana Leticia Carvalho, eletta in estate. Sarà la prima scienziata e la prima colf a guidare l’organizzazione, legata alle Nazioni Unite ma piccola e poco nota – ha sede in Giamaica –, la cui importanza è però destinata a crescere molto perché tra le sue funzioni c’è l’assegnazione di concessioni minerarie nei fondali marini.
La transizione energetica ha bisogno di enormi quantità di metalli: di rame per i cavi elettrici, ad esempio, di terre rare per le turbine eoliche, di nichel, manganese e cobalto per le batterie. Alcune porzioni di acque internazionali dovrebbero contenerne in abbondanza di questi elementi preziosi, adagiati sui fondali all’interno di grumi rocciosi dalle dimensioni di patate: in gergo si chiamano noduli polimetallici.
Attorno alla possibilità di inviare dei robot nelle profondità degli abissi, raccogliere i noduli, farli mirare in superficie e lavorarli per ottenere i materiali desiderati si sta sviluppando un’industria dalle grandi promesse ma dalla convenienza – economica e ambientale – ancora incerta.
L’estrazione mineraria dai fondali
Formalmente, i fondali internazionali sono “patrimonio comune di tutta l’umanità”: così recita la Convenzione sul diritto del mare. Tuttavia, l’International Seabed Authority ha già emesso una trentina di licenze esplorative ed entro luglio 2025 dovrebbe ultimare la redazione di un regolamento che disciplini le attività minerarie sottomarine. A fare pressione non sono soltanto le aziende e alcuni dei paesi membri più grandi, come la Cina e il Giappone, ma anche una piccola nazione del Pacifico, Nauru, che vede nel deep-sea mining un’opportunità di crescita e ha già steso un contratto con una società canadese, The Metals Company, pronta a dare il via alle operazioni già nel 2026.
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di Marco Dell’Aguzzo www.wired.it 2024-10-15 05:00:00 ,