non vado al San Carlo- Corriere.it

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È un weekend frenetico quello che precede il consiglio di amministrazione Rai di lunedì che dovrebbe vedere la nomina di Roberto Sergio a nuovo amministratore delegato, dopo le dimissioni di Carlo Fuortes. Telefonate di pressione dei partiti hanno raggiunto i consiglieri il cui voto è meno scontato. Lunedì Sergio ovviamente non voterà. E mentre è certo il sì dei consiglieri di centrodestra, Simona Agnes e Igor De Biasio, e quello contrario di Francesca Bria (quota Pd), l’indipendente Riccardo Laganà sarebbe per l’astensione (che vale no), come ha fatto con i precedenti ad. A questo punto sarebbero determinanti i voti della presidente Marinella Soldi (il cui voto, in caso di parità, vale doppio) e quello di Alessandro di Majo (quota M5S). I grillini sono in trattativa per ottenere una direzione di rilievo per Giuseppe Carboni, senza la quale il voto sarà un no o un’astensione. Se così fosse, in condizione di parità, dirimente sarebbe il voto di Soldi.

«Il cda è già in mano a Matteo Renzi» era la voce che circolava ieri, e che alludeva al rapporto intercorrente tra l’ex premier e Soldi. Un problema che Sergio non avrà, se sarà nominato, quando dovrà indicare i direttori di genere (il parere del cda non è vincolante) e di testata (è sufficiente non avere 5 voti contrari). Una maggioranza dovrà esserci invece per l’approvazione del budget a fine anno e per le prossime nomine nelle controllate: Rai Cinema, Rai Com e San Marino Rtv. «Quello del cda sarà prima di tutto un giudizio sul metodo usato per occupare la Rai» ha twittato il presidente di Fnsi, Vittorio Di Trapani. «La legge sulla Rai va cambiata», attacca il segretario Usigrai, Daniele Macheda. Ieri Pd e M5S hanno respinto l’ipotesi che Report, la trasmissione di Sigfrido Ranucci, venga cancellata. Voce smentita in ambienti Rai.

Sarebbe invece in procinto di firmare con Discovery Fabio Fazio, il cui programma traslocherebbe su Nove. Il conduttore attende una conferma dal 15 marzo, quando ha chiesto di sapere se il suo contratto — in scadenza a fine giugno — sarebbe stato rinnovato. Nessuno avrebbe aperto però una trattativa per farlo rimanere. Ieri è tornato a parlare Fuortes che, smentendo indiscrezioni, si è detto «non disponibile a coprire il ruolo di sovrintendente del Teatro San Carlo». Il manager non nega che «sarebbe un piacere e un onore straordinario» guidare un teatro la cui «nobile tradizione è continuata fino all’attuale gestione di Lissner», che così viene da lui omaggiato. Ma il San Carlo è per Napoli «forse il luogo più simbolico e identitario» e «va trattato come tale» lo esalta Fuortes. Quindi «il sovrintendente deve avere un sostegno largo e condiviso da parte di tutta la collettività» e la sua nomina «non può in alcun modo subire distorsioni, essere o apparire di parte». Per questo, conclude, «non ci sono a mio avviso le condizioni per ricoprire il ruolo di sovrintendente». Non un atto del governo può dunque portare Fuortes al San Carlo. Ma cosa succederebbe se «tutta la collettività», rappresentata nel collegio di sorveglianza del San Carlo, lo reclamasse a gran voce?



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www.corriere.it
2023-05-12 23:10:18 ,

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