Perché la Fed non taglia ancora i tassi

Perché la Fed non taglia ancora i tassi

Perché la Fed non taglia ancora i tassi


I tassi resteranno fermi. Ancora. La riunione di marzo della Federal reserve non terminerà con il taglio del costo ufficiale del credito atteso fino a non molto tempo fa. I Fed funds rates resteranno al 5,25%-5,50%, il livello deciso a luglio scorso. L’attenzione sarà rivolta piuttosto alle indicazioni sul futuro andamento dei tassi (i “dots”, i “punti” con i quali vengono graficamente mostrate), e alle nuove previsioni macroeconomiche trimestrali.

Inflazione core ancora elevata

Non c’è ancora quella fiducia necessaria per iniziare una nuova fase della politica monetaria. Il rischio di “tagliare” troppo presto – le ricerche sono chiare, sotto questo punto di vista – è superiore a quello di tagliare troppo tardi e l’economia americana, al momento va molto bene. È l’inflazione che ritarda a tornare all’obiettivo e la possibilità che si stabilizzi a un livello superiore al 2% è concreta. L’indice preferito dalla Fed, il Pce, mostra attualmente un incremento annuo del 2,4%, ma il core – che esclude alimentari ed energia – è ancora al 2,85%. Anche gli altri indicatori non sono del tutto rassicuranti: il settore dei servizi, dove i prezzi scendono più lentamente, è al 3,9% mentre la variazione degli sticky prices, i prezzi rigidi, della Fed di Atlanta punta ancora al 4,4%. I progressi dell’inflazione «non sono garantiti» ha spiegato a inizio mese, in audizione al Congresso, il presidente Jerome Powell.

Segnali contrastanti dalle aspettative di breve periodo

ASPETTATIVE DI INFLAZIONE A UN ANNO

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Le aspettative di lungo periodo (5y5y inflation swap rate, break even a 5 e 10 anni) si sono stabilizzate a un livello persino leggermente più basso – il 2,3% la media dal 2023 a oggi – di quello prevalente prima della grande recessione – il 2,4% tra 2004 e 2007 – ma le aspettative a un anno danno segnali discordanti. L’indice della Fed di Cleveland mostra ormai un tranquillizzante 2%, mentre l’indice dell’Università del Michigan, anche se i dati pubblici sono fermi a gennaio, indicano ancora un 2,9%.

Salari ancora surriscaldati

SALARI ORARI ANCORA IN CORSA

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Le aspettative rilevanti per la politica monetaria sono però soprattutto quelle che si incarnano nelle rivendicazioni salariali. Il mercato del lavoro resta brillante, negli Stati Uniti, e non è facile capire quanta parte sia legata al surriscaldamento – generato anche da una politica fiscale che resta generosa – e quanta parte sia invece legata a fattori per così dire strutturali. L’incremento dei salari è al 4,3%. Per le Banche centrali è benvenuto un recupero del potere d’acquisto – purché avvenga a “carico” dei margini di profitto – che aiuti le famiglie e riduca le ricadute dell’inflazione sulla distribuzione del reddito (che la politica monetaria non può affrontare). Una prosecuzione di questo trend potrebbe però generale un nuovo surriscaldamento dei prezzi.

Nuovi occupati in leggero rialzo

NUOVE ASSUNZIONI

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Il livello delle assunzioni dà segnali non chiari. Si è portato sulla media prepandemica, ma ha mostrato proprio negli ultimi mesi – e anche nella media mobile che riduce un po’ le oscillazioni della serie storica – una leggerissima tendenza all’aumento.



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