Gli Stati sono concordi a inserire gli abusi su minori nella lista. D’altronde la stessa Unione europea ha in discussione un regolamento, denominato Chatcontrol, che deroga alle regole sulla privacy per dare alle piattaforme di comunicazioni digitali, come Whatsapp e Messenger, accesso alle chat private per tre anni alla ricerca di abusi sessuali online su minori su incarico di un’autorità nazionale. Wired Uk ha ottenuto un documento che mostra come la Spagna, per esempio, sia a favore di un blocco alla crittografia end-to-end (un sistema di comunicazione cifrata per cui solo le persone che stanno comunicando tra di loro hanno accesso ai messaggi) per spianare la strada ai controlli.
Su altri fronti, invece, le divisioni sono più marcate. E minori le possibilità che le proposte diventano realtà. Come nel caso della maggior parte dei “crimini potenziati a livello cyber – spiega Bannelier – o perché già coperti da altri strumenti o a causa dell’impatto negativo sul diritti umani”. Come nel caso di proposte per criminalizzare la diffusione di false informazioni, l’incitamento ad attività sovversive o reati connessi all’estremismo. Idee avanzate da paesi autocratici come Cina e Russia, che dietro la maschera del cybercrime vogliono nascondere un attacco alla libertà di espressione.
La faglia della privacy
Ad allontanare l’accordo è anche la frattura tra Stati Uniti e Unione europea sulla privacy. Proprio i 27 componenti dell’Ue hanno sostenuto l’inserimento di un articolo dedicato alla protezione dei dati. Utile anche a giustificarsi con il Garante della privacy comunitario, che ha ammonito le cancellerie di non firmare alcun trattato che contraddica i principi del Gdpr. Tuttavia ha silurato la proposta un’inedita intesa tra Cina, Russia e Stati Uniti. In particolare Washington, riferisce Bannelier, ha rigettato la proposta “perché non ha il mandato di negoziare una intera convenzione sulla protezione dei dati”. Il Regno Unito ha proposto una mediazione, inserendo principi come “i dati personali sono analizzati in modo legale e trasparente” e “non possono essere usati per scopi che sono incompatibili con quelli per cui sono stati trasferiti”.
Vedremo se queste formule basteranno ad appianare le divergenze tra Washington e Bruxelles, che, commenta l’esperta, è chiaro “che stiano cercando di raggiungere un accordo su questo aspetto fondamentale”. Hanno bisogno del reciproco sostegno per controbilanciare gli assalti dell’asse russo-cinese. Secondo Bannelier “ci sono ancora troppe incertezze e divergenze per stabilire se le discussioni stanno andando nella direzione giusta o in quella sbagliata”.
Il mondo dell’attivismo digitale è preoccupato dalla china deviante su cui la convenzione può scivolare, “arrivando a legittimare un potere di sorveglianza intrusiva che invade le vite private delle persone e viola i loro diritti”, ha osservato Katitza Rodriguez, responsabile politiche per la privacy globale della Electronic frontier foundation (Eff), una fondazione che tutela i diritti digitali. Le fa eco Raman Jit Singh Chima, che per l’organizzazione Access Now è responsabile dell’area cybersecurity a livello globale: “Qualsiasi trattato delle Nazioni unite sul cybercrime deve renderci più sicuri, non meno. Un aspetto chiave di questa cornice legale internazionale dovrebbe occuparsi delle persone coinvolte nella cybersecurity, come ricercatori di sicurezza, formatori, ma anche giornalisti. Sfortunatamente, la nostra idea è che il testo attuale, se non fortemente migliorato, potrebbe di fatto renderci meno sicuri. Non fornire protezione legale ai ricercatori è un errore che la comunità globale di cybersecurity non può permettersi”.
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di Luca Zorloni www.wired.it 2023-06-09 05:00:00 ,