La Convenzione quadro, come anticipato, riconosceva le particolari necessità dei Paesi in via di sviluppo, con il senso di non ostacolarne la crescita economica. L’allegato 1 contiene un elenco di Paesi che, sulla base dell’articolo 12, sarebbero stati tenuti a trasmettere regolari report in cui elencare le misure adottate per la riduzione dei gas serra. Si tratta, essenzialmente, dei Paesi industrializzati (tra cui l’Italia) assieme a quelli dell’ex blocco sovietico (la neonata Federazione russa e i paesi del fu Patto di Varsavia), che ai tempi erano correntemente definiti “secondo mondo” per la presenza di un’industria in qualche modo avviata. Il principio cardine, che caratterizzerà tutti i negoziati climatici a seguire seppur con diverse gradazioni, è che i Paesi industrializzati sono riconosciuti come principali responsabili delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera. Importante rilevare come manchino – e sarà un fatto rilevante fino a oggi – grandi Stati come Cina, India e Brasile.
Il protocollo di Kyoto
Nel 1995, i partecipanti all’Unfccc si incontrano a Berlino alla prima Conferenza delle parti sul clima (Cop1) allo scopo di definire i principali obiettivi riguardo alle emissioni serra. Arriviamo quindi al 1997, quando, l’11 dicembre a Kyoto, viene firmato il protocollo omonimo, che fissava piani di riduzione delle emissioni per 37 Paesi industrializzati e con economie in fase di transizione. Si tratta dei Paesi inclusi nell’allegato B, elenco che rispecchia sostanzialmente la lista della Convenzione del 1992.
Il trattato prevedeva l’obbligo di ridurre le emissioni di sei gas serra (anidride carbonica, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoruro di zolfo). La caratteristica principale del protocollo di Kyoto è che stabilisce obiettivi vincolanti e qualificati: ridurre le emissioni di almeno il 5% rispetto a quelle del 1990 nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012.
Il protocollo di Kyoto sarebbe enetrato in vigore il 16 febbraio 2005: perché il meccanismo scattasse, si richiedeva la ratifica da parte di non meno di 55 stati firmatari e che gli Stati che lo avessero ratificato producessero almeno il 55% delle emissioni inquinanti globali. Condizione, quest’ultima, raggiunta solo nel novembre del 2004, con il perfezionamento dell’adesione da parte della Russia.
Il protocollo di Kyoto prescrive che la riduzione debba avvenire essenzialmente tramite misure nazionali, ma prevede anche una serie di meccanismi basati sul mercato, i cosiddetti “meccanismi flessibili“. Si può dire che nella città giapponese sia stato “inventato” il mercato del carbonio che sarebbe poi stato perfezionato a Marrakech nel 2001 e da lì fino a Glasgow. I “meccanismi flessibili” sono tre: meccanismo di sviluppo pulito, implementazione congiunta e scambio delle emissioni.
Successi e critiche
“Sicuramente il protocollo di Kyoto ha rappresentato un passaggio fondamentale per la politica climatica – afferma Stefano Caserini, docente di Mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano e membro inventore del centro studi Italian Climate Network -. Di fatto, è stato il primo momento in cui i grandi emettitori si sono assunti impegni di riduzione delle emissioni“.
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di Antonio Piemontese www.wired.it 2022-12-11 06:00:00 ,