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di Marco Cremonesi

Il ministro Giorgetti: «Se Matteo vuole istituzionalizzarsi, l’alleanza in Europa con l’AfD non ha una ragione»

Ormai si sa: il ministro Giancarlo Giorgetti, numero 2 della Lega, parla poco. Ma quando lo fa, sono granate. Le anticipazioni sull’ultimo libro di Bruno Vespa, Perché Mussolini rovinò l’Italia (e come Draghi la sta risanando) sono uno di quei casi. Perché il vicesegretario non le manda a dire proprio a Matteo Salvini. La granata numero 1 riguarda la possibilità di mantenere un binario comune con Salvini: «Continueremo a lavorare così finché il treno del governo viaggia veloce, altrimenti rischiamo noi di finire su un binario deceduto». Perché, dice il ministro dello Sviluppo economico, «il problema non è Giorgetti, che una sua credibilità internazionale se l’era creata da tempo. Il problema è se Salvini vuole sposare una nuova linea o starne fuori». Delicatissimo il passaggio successivo: «Matteo è abituato a essere un campione d’incassi nei film western. Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar», perché «è difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so cosa abbia deciso». Se non è un invito a rinunciare alla premiership, manca poco: dire «attore non protagonista» sembra suggerire l’addio al «Salvini premier». Però
Giorgia Meloni
continua ad azzannare, dice Vespa: «È vero, ma i western stanno passando di moda. Adesso in America sono rivalutati gli indiani nativi».

Il tema è anche quello della collocazione europea e internazionale: giusto ieri il leader leghista era con il presidente brasiliano Bolsonaro. «Se vuole istituzionalizzarsi in modo definitivo — dice Giorgetti — Salvini deve fare una scelta precisa. Capisco la gratitudine verso la Le Pen, che dieci anni fa lo accolse nel suo gruppo. Ma l’alleanza con l’Afd non ha una ragione». Vespa lo chiede: Salvini la svolta europeista l’ha fatta? Giorgetti risponde diritto: «È un’incompiuta. Ha certamente cambiato linguaggio. Ma qualche volta dice alcune cose e ne fa altre. Può fare cose decisive e non le fa». Insomma, l’approdo della Lega deve essere il Ppe: «Io non ho bisogno di un nuovo posto. Voglio portare la Lega in un altro posto». Ed è proprio su questo che arriva l’unica risposta di Salvini: «Stiamo lavorando per un grande gruppo che metta insieme il centrodestra in Europa. Non è nessun vecchio gruppo». Infine, Giorgetti parla di Quirinale: «Già nell’autunno del 2020 dissi che la soluzione sarebbe stata confermare Mattarella ancora per un anno. Se questo non è possibile, va bene Draghi». Fermo restando che «Draghi potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale. Sarebbe un semipresidenzialismo de facto, in cui il presidente allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole».

Proprio su questo si sono concentrate le reazioni. Netta quella di Giuseppe Conte: «Qualunque soluzione sia, non dobbiamo auspicare che si stravolga il disegno costituzionale. Parlare di semi presidenzialismo de facto non va assolutamente bene». E Mattarella si è «tenuto ben lontano» da questo: «Non abbiamo bisogno di uomini della provvidenza». Ma lo stesso Carlo Calenda, predecessore di Giorgetti al Mise, è cauto: «I sistemi istituzionali non cambiano a seconda di chi ricopre una carica. Sono presidenzialista, ma questo non è il sistema italiano. Se Draghi deve continuare a guidare il Paese, come penso, allora occorre che resti presidente del Consiglio». Il capogruppo alla camera Francesco Lollobrigida ricorda che «per Fratelli d’Italia la strada maestra resta il voto». E FdI «è d’accordo sul modello di presidenzialismo e semi presidenzialismo, purché avvenga con l’elezione diretta».

2 novembre 2021 (modifica il 2 novembre 2021 | 23:58)



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