Mussolini e l’antisemitismo di Stato: a 85 anni dal “discorso di Trieste”

Mussolini e l’antisemitismo di Stato: a 85 anni dal “discorso di Trieste”

Mussolini e l’antisemitismo di Stato: a 85 anni dal “discorso di Trieste”

Mussolini e l’antisemitismo di Stato: a 85 anni dal “discorso di Trieste”

Ottantacinque anni fa, il fascismo dichiarò ufficialmente l’antisemitismo di Stato, ma ancora oggi molte persone sembrano ignorare l’entità di questa realtà storica. Tale proclamazione avvenne rapidamente e in modo determinante.

Il 15 luglio 1938, il “Manifesto degli scienziati razzisti” fu pubblicato in forma anonima sul “Giornale d’Italia” con il titolo “Il Fascismo e i problemi della razza”, noto anche come “Manifesto della Razza”. Questo manifesto, firmato da dieci scienziati, fu ripubblicato il 5 agosto 1938 sul primo numero della rivista “La difesa della razza”.

Il 3 agosto 1938, in occasione del censimento indetto dal governo, furono introdotti parametri razziali. Il 5 agosto dello stesso anno, venne pubblicato il primo numero della rivista “La Difesa della Razza”, la cui copertina mostrava una spada romana che separava un volto ariano da quelli camiti e semiti, suggerendo non solo la separazione, ma anche la separazione violenta tra le razze. Questa immagine era accompagnata dall’uso strumentale di versi di Dante Alighieri: “sempre la confusion delle persone / principio fu del mal de la cittade”. Sempre nello stesso mese, il Ministero di Cultura Popolare istituì l’Ufficio della Razza.

Il 4 settembre 1938, Benito Mussolini scrisse personalmente la “Dichiarazione della Razza”, che sarebbe stata approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 6 ottobre 1938 e successivamente trasformata in legge dello Stato tramite il Regio decreto legge del 17 novembre 1938.

Questo portò all’emanazione del primo atto normativo, il “Regio decreto legge 5 settembre 1938”, che prendeva misure per la difesa della razza nella scuola fascista, richiedendo l’espulsione di studenti e docenti ebrei dalle scuole e dalle università. Questa fu la prima di una serie di leggi che avrebbero escluso gli italiani ebrei dalla vita civile e dai loro diritti. Anche gli ebrei stranieri, molti dei quali si erano rifugiati in Italia dopo le persecuzioni naziste in Germania e Austria, sarebbero stati rinchiusi in campi di concentramento in diverse regioni italiane con l’entrata dell’Italia nella Seconda guerra mondiale nel giugno 1940.

Tuttavia, un aspetto fondamentale di questo tragico periodo spesso trascurato quando si discute della persecuzione degli ebrei in Italia è il discorso di Mussolini a Trieste, tenutosi il 18 settembre 1938. Questo discorso fu il primo annuncio pubblico alle masse italiane e al mondo intero delle “soluzioni necessarie” per affrontare il “problema ebraico”, che venne definito come un “problema razziale”. La scelta di Trieste come sede per questo discorso non fu casuale, ma piena di simbolismo e significato storico.

Trieste era stata la prima città in cui il fascismo, guidato da Francesco Giunta, aveva proclamato l’italianità della regione, basandosi su concezioni razziste e perseguendo gli slavi. Mussolini aveva dichiarato: “Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbarica, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone”. La Comunità ebraica di Trieste era la terza più grande d’Italia, ma la prima in termini di percentuale di abitanti. Mussolini aveva già evidenziato questa presenza ebraica nella città nel 1933, quando il quotidiano di Mussolini, “Il Popolo d’Italia”, aveva denunciato che, nonostante rappresentassero solo il due per cento della popolazione, gli ebrei detenevano cariche e posizioni di comando in proporzione al cento per cento.

Trieste era anche simbolo dell’irredentismo italiano ed era stata acquisita con la vittoria nella Grande Guerra. Il discorso di Mussolini a Trieste fu un momento cruciale in cui vennero annunciati pubblicamente i progetti del regime per l’antisemitismo di Stato.

Mussolini dichiarò che il “problema razziale” era di estrema attualità e affermò che per mantenere il prestigio dell’impero italiano era necessaria una coscienza razziale chiara e severa, basata sulla netta superiorità di una razza rispetto ad altre. Affermò inoltre l’autonoma ispirazione razzista del fascismo italiano, respingendo l’idea che avessero seguito imitazioni o influenze esterne. Mussolini sostenne che il “problema razziale” non era emerso improvvisamente, ma era stato affrontato gradualmente. L’ebraismo mondiale fu descritto come un nemico irreconciliabile del fascismo.

Infine, l’azione antisemita dello Stato fu giustificata facendo ricadere la responsabilità sul comportamento degli ebrei stessi. Questo è un tratto comune tra i razzisti, che spesso affermano di agire in autodifesa. È interessante notare che sia le leggi naziste che quelle fasciste contenevano nel loro titolo il termine “difesa” o “schutz,” un chiaro tentativo di presentare queste politiche discriminatorie come misure di protezione. Il regime fascista avrebbe potuto, in circostanze eccezionali e ben definite, scegliere la “comprensione e la giustizia,” a meno che gli ebrei italiani e stranieri, insieme ai loro sostenitori improvvisati e inattesi, che li difendevano da molte posizioni di potere, non avessero costretto il regime a prendere una direzione più radicale. Tuttavia, questa minaccia finale era in realtà pretestuosa, poiché tutto era stato pianificato in anticipo per perpetrare la persecuzione.

Si è spesso affermato che il fascismo abbia commesso solo due grandi errori: la legislazione antisemita (e sarebbe preferibile evitare il termine “leggi razziali” poiché riflette il linguaggio razzista del regime) e l’entrata nella Seconda guerra mondiale. Queste azioni sono talvolta considerate incidenti, come se fossero estranee alla struttura ideologica e politica del partito e del regime fascista. Tuttavia, questa è una visione distorta della storia, poiché queste scelte erano intrinseche al fascismo.

Per quanto riguarda l’antiebraismo, alcuni hanno cercato di attribuirne la responsabilità al rapporto con la Germania nazista, sostenendo che il fascismo italiano fosse stato costretto a compiacere il suo alleato più potente. Altri hanno persino sostenuto che né il fascismo né Mussolini fossero in realtà antisemiti. Queste affermazioni sono state inventate con l’obiettivo di autoassolversi e trovare consolazione, ma sono state contraddette dalle stesse parole e azioni di Mussolini nel corso della sua carriera politica.

Infatti, Mussolini era noto per i suoi scritti antisemiti sin dal 1908, quando era ancora attivo nel movimento socialista. La diffusione dell’antisemitismo in Europa era così diffusa che August Bebel, uno dei leader della socialdemocrazia tedesca, aveva definito l’antisemitismo “il socialismo degli imbecilli” nel suo lavoro “Sozialdemokratie und Antisemitismus” del 1893. Mussolini si allineava chiaramente con questa mentalità. Nel congresso del Partito Nazionale Fascista nel novembre 1921, Mussolini espose con forza concetti legati alla superiorità della razza e alla “salute della razza con la quale si fa la storia”. L’antisemitismo era una tappa fondamentale nella “feroce volontà totalitaria” del regime fascista, come dichiarato nel discorso di Mussolini del 22 giugno 1925.

Galeazzo Ciano, ministro degli Esteri e genero di Mussolini, annotò nel suo diario il 14 luglio 1938 che il Duce aveva quasi completamente redatto uno statement sulle questioni della razza pubblicato sul “Giornale d’Italia”. Questo documento era stato scritto da un gruppo di studiosi sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, ma Mussolini aveva avuto un ruolo centrale nella sua creazione.

Addirittura, quando fu fondata la Repubblica Sociale Italiana, uno stato neofascista collaborazionista con l’occupazione tedesca, Mussolini fece approvare il Manifesto di Verona, il cui articolo 7 affermava chiaramente che gli ebrei appartenevano a una nazionalità nemica e dovevano essere arrestati e internati in campi di concentramento. Questa politica venne attuata, e gli ebrei italiani furono consegnati ai nazisti.

Come ha sottolineato Michele Sarfatti, il regime fascista passò dalla “persecuzione dei diritti” alla “persecuzione delle vite,” giocando un ruolo cruciale nella cattura degli ebrei, spesso in collaborazione con i nazisti, per consegnarli ai campi di sterminio. Pertanto, affermare che il fascismo italiano sia stato “fuori dal cono d’ombra dell’Olocausto” è una visione distorta della storia. Molto prima del 1943 e dell’occupazione tedesca, il regime aveva già adottato politiche antisemite e aveva contribuito attivamente alla persecuzione degli ebrei.

Infine, è un errore ritenere che le leggi antisemite furono solo promulgate ma non applicate. In realtà, queste leggi furono applicate puntualmente e meticolosamente, senza provocare proteste significative. Ciò sottolinea la forza della propaganda di regime e la sua abilità nel plasmare l’opinione pubblica, facendo apparire come “normali” misure discriminatorie che in realtà erano odiate e inaccettabili. Questo fenomeno è evidente anche nell’uso della propaganda contro gli africani, nonostante all’epoca non fossero una presenza in Italia, ma piuttosto erano gli eserciti italiani che stavano conducendo guerre coloniali di conquista e sterminio nelle loro terre.

In definitiva, mentre è vero che in Italia ci sono stati atti di solidarietà verso gli ebrei durante la fase più critica della persecuzione, non possiamo permettere che questi gesti cancellino la necessità di riflettere sulla macchia dell’antisemitismo di Stato che ha segnato la storia del nostro paese.

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