È iniziato al tribunale di Roma il processo contro gli attivisti e le attiviste di Ultima generazione, che a gennaio 2023 avevano lanciato vernice lavabile contro la sede del Senato, palazzo Madama. I due ragazzi e la ragazza coinvolti, appena ventenni, rischiano fino a 5 anni di carcere per le due ore in cui la facciata dell’edificio è rimasta sporca.
L’accusa mossa contro di loro è di danneggiamento aggravato, ma per i legali dell’Associazione Luca Coscioni si tratta di “accanimento penale” che va contro il principio di proporzionalità della pena previsto dalla Costituzione. Le loro azioni, infatti, non hanno causato alcun danno permanente a palazzo Madama.
Ma l’aggravante, considerata più pesante rispetto al reato di “deturpamento e imbrattamento di cose altrui” è stata introdotta da uno dei cosiddetti decreti sicurezza approvati nel 2019 dall’allora ministro dell’Interno, Matteo Salvini, e si applica quando il reato viene commesso durante una manifestazione pubblica. E mentre per l’imbrattamento la pena massima è di un anno, per il danneggiamento aggravato si arriva fino a 5 anni.
Al loro fianco, oltre a Marco Cappato e Lorenzo Mineo dell’Associazione Luca Coscioni, si sono uniti a un presidio solidale davanti al tribunale anche altri attivisti di Ultima Generazione, l’Arci, Amnesty International, l’Alleanza Verdi Sinistra e il Partito democratico.
Mentre il ministero della Cultura e la presidenza del Senato si sono immediatamente costituiti come parte civile nel processo. Una celerità che invece è mancata nel caso del procedimento penale contro Roberto Zorzi, terrorista neofascista responsabile della strage a piazza della Loggia del 1974, durante una manifestazione antifascista, per cui il governo ha presentato l’istanza di parte civile fuori dai limiti temporali stabiliti.
Come riporta Fanpage, i tre ambientalisti stanno affrontando la causa con serenità. “Siamo consapevoli delle conseguenze delle nostre azioni, sappiamo cosa rischiamo e siamo pronti ad accettarlo – hanno dichiarato -. Continueremo a fare quello che abbiamo fatto perché, molto più che affrontare un processo, ci spaventa il futuro del clima”.
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di Kevin Carboni www.wired.it 2023-05-12 15:19:23 ,