L’acronimo inglese, Ied, Improvised explosive device, lo fa sembrare più complicato di quanto non sia. In realtà, un “ordigno esplosivo improvvisato” è di una banalità sconcertante: un contenitore riempito di esplosivo artigianale. Metallo sommato a un’infarinatura di chimica e fisica elementare. Nient’altro. A rendere spaventoso uno Ied, però, non è soltanto il fatto che basti un giro dal ferramenta per fabbricarne uno, ma che lo si possa nascondere, letteralmente, ovunque. Persino a Sacile, provincia di Pordenone, cittadina che si è guadagnata il soprannome di Piccola Venezia e in cui, da sette secoli, si svolge la Sagra dei Osei. Negli anni Novanta la Sagra dei Osei è una parentesi di relax che sospende, anche se per poco, l’inarrestabile marcia della “Locomotiva del Nordest”, il Triveneto operoso in cui vige un unico credo: lavorare, lavorare, lavorare. E incassare, ovviamente.
Il primo attentato alla Sagra dei Osei
In quel periodo la provincia di Treviso copre un sesto del saldo attivo con l’estero e Vicenza ha un export superiore a quello della Grecia. Il segreto della Locomotiva è presto detto: traghettare la deregulation ottantiana nel decennio del Wind of change sommandola alla mania che da un po’ sembra aver contagiato tutti, il “fai-da-te”. D’altronde, una volta compreso il meccanismo, cos’è una locomotiva se non metallo spinto da chimica e fisica di base? Un manufatto semplice come lo Ied che una donna, il 21 agosto 1994, durante la Sagra dei Osei, trova sotto un cespuglio di ortensie. L’esplosione provoca ferite lievi e non c’è rivendicazione, ma una bomba significa: terrorismo. Però la pista dell’ecoterrorismo si rivela un vicolo cieco e i naziskin, prodotti di scarto di cui la Locomotiva dissemina il territorio, non c’entrano. Il 17 e il 18 dicembre, a Pordenone e ad Aviano, esplodono altri due ordigni. Tre Ied, tre giorni di festa, stessa mano: “Unabomber”.
La differenza con Ted Kaczynski
I giornali lo chiamano così copiando l’Unabomber americano, Ted Kaczynski, anche se c’è una differenza enorme fra i due. Kaczynski colpisce bersagli precisi, il suo omonimo italiano, persone a caso. Rendendo tutti vittime potenziali. Nel 1995, il 5 marzo, Carnevale, uno Ied esplode ad Azzano Decimo. Il 30 settembre, a Pordenone, Unabomber piazza due ordigni nella stessa giornata. Il primo costa il braccio ad una pensionata, il secondo ha una storia significativa. La donna che lo trova lo raccoglie e se lo porta a abitazione. Il giorno seguente lo mette nel portapacchi della bicicletta e pedala fino alla caserma dei carabinieri che lo fanno brillare nonostante sia stato ripetutamente maneggiato senza detonare. Diciamo addio a eventuali tracce. Lo scopo di uno Ied è il terrore, il terrore toglie lucidità: Unabomber è riuscito nel suo intento. E continua a colpire: 11, 24 e 26 dicembre. Aquileia, Latisana, Bibione. 1996: Glaut e Bannia, il 2 e il 22 aprile. Il 4 agosto, un nuovo doppio attacco. Terrificante, perché gli Ied, questa volta, sono fatti per uccidere. Un’esplosione a Bibione e una a Lignano, entrambe fra i bagnanti. Il terrore diventa panico e, a quel punto, con un gesto teatrale, Unabomber sparisce.
Quattro anni di assenza per preparasi meglio
Si dice sia in carcere per un altro reato. O in Kosovo, a combattere. In molti sperano sia deceduto. Invece, come rivela lo Ied del 6 marzo 2000, Unabomber ha usato quei quattro anni di assenza per affinare la sua abilità nel confezionare e mascherare gli Ied. Peggio ancora, sembra anche aver individuato un bersaglio che fa rabbrividire: i bambini. L’ordigno del 6 marzo, Carnevale, infatti, è nascosto in una bomboletta di stelle filanti. Il 6 luglio, a Lignano, uno Ied lasciato sul bagnasciuga, dove si costruiscono i castelli di sabbia, manda in coma un carabiniere. Il 13 settembre, Unabomber colpisce un vigneto, a San Stino di Livenza. Il 31 ottobre, camuffa lo Ied in una scatola di uova sullo scaffale di un ipermercato. L’ordigno non esplode e vengono trovate tracce di ricercato Dna. Il giorno dopo, primo novembre, uno Ied viene rivenuto nel vigneto già colpito il 13 ottobre: una sfida e una beffa insieme. Il 7 novembre, un’operaia rischia la vita acquistando un tubetto di pomodoro e il 17 novembre, Unabomber ripete la sua provocazione: in quello stesso ipermercato viene rinvenuto un tubetto di maionese riempito di esplosivo.
Dal tribunale alla chiesa, nessun obiettivo lo spaventa
Dal 2001 al 2003 ci sono altri attentati: un vasetto di Nutella, un tubetto di bolle di sapone, esplosivo in chiesa. Il panico è ormai psicosi, ma a Unabomber non basta: vuole sempre più attenzione. Nel febbraio 2003, una testata locale denuncia la scarsa sicurezza dei tribunali e, citando Unabomber, dimostra come sia facile piazzare un ordigno nel bagno usato proprio dal pm che indaga sul bombarolo. Unabomber, il quale evidentemente è un avido lettore degli articoli che lo riguardano, prende appunti e colpisce: il 24 marzo, quella toilette viene polverizzata. Il 25 aprile, a Fegarè della Battaglia, una bambina subisce gravissime lesioni alla mano e agli occhi e il 2 aprile del 2004 Unabomber colpisce una chiesa di Portogruaro.
La pista sbagliata
Poche settimane dopo, però, a maggio, la polizia comunica di aver scoperto la sua identità: Elvo Zornitta, ingegnere. Gli inquirenti (fra cui un agente dell’Fbi che viene derubato dell’orologio appena atterrato a Venezia) hanno pesanti indizi a suo carico: penne Bic, accendini, nastro adesivo, scatole di mentine vuote, pile stilo e una confezione di uova della stessa marca di quella inesplosa nel 2000. Così, in attesa del test del Dna, per due anni, Zornitta viene tenuto sotto controllo 24 ore su 24. Due anni in cui Unabomber colpisce cinque volte. E quando il test del Dna scagiona l’ingegnere, ecco un nuovo annuncio: un paio di forbici sequestrate nella sua abitazione evidenziano una scanalatura coincidente con quella trovata fra i resti di uno Ied. La scanalatura però, come accerterà la Cassazione, è frutto della manomissione di un poliziotto: un’azione che mette i brividi quanto, o forse più, di uno Ied.
L’ultimo attacco, poi il silenzio
Infine, il 6 maggio 2006, sulla spiaggia di Caorle, una coppia di fidanzati viene ferita dall’esplosione di una bottiglia con, all’interno, quello che sembrava un messaggio. Un espediente per attirare l’attenzione, ma anche, in un certo senso, un biglietto di addio. Dal 6 maggio 2006 Unabomber scompare. Forse leggere i giornali non gli bastava più, e il suo voyeurismo l’ha costretto a mescolarsi ai bagnanti, a Caorle, per vedere il sangue e sentire le urla e quando si è reso conto del rischio, per la prima volta, ha avuto paura. Della polizia, se non di sé stesso.
La domanda che lo assilla (se non è deceduto)
Oppure si è stufato. O hanno ragione quelli che sperano sia deceduto. Di certo, se non lo è, il tizio che incolpa sempre gli sconosciuti per il proprio disagio, insofferente alle feste e che si crede più abile di quanto abbia dimostrato di essere, oggi passa le giornate a scorrere vecchi ritagli di giornale come una locomotiva arrugginita immersa nel ricordo dei giorni di gloria. Magari cercando di sfuggire alla domanda che dal 2006 gli rovina fegato e sonno: ha senso essere stati il migliore se nessuno lo verrà mai a sapere?
[email protected] (Redazione Repubblica.it) , 2022-07-16 00:27:42 ,www.repubblica.it