L’Universo si espande, e lo fa sempre più velocemente. Di questo siamo – più o meno – certi, anche se non sappiamo ancora con precisione quali siano i fattori che determinano questa espansione, e soprattutto come questi fattori interagiscono tra loro e se e come cambiano nel tempo. Ma c’è di più: mentre l’Universo si espande, sappiamo anche che al suo interno diventano sempre più grandi le cosiddette strutture a grande scala, enormi ammassi di ammassi di ammassi (si può andare avanti a lungo) di galassie. Ma qui entriamo in un campo, se possibile, ancora più incerto: come crescono queste strutture? Perché? Quanto velocemente? A questo proposito, un’équipe di scienziati della University of Michigan ha appena pubblicato, sulla rivista Physical Review Letters, uno studio in cui si afferma che qualcosa sta misteriosamente “sopprimendo” la crescita delle strutture a grande scala dell’Universo, mentre quest’ultimo continua ad accelerare la propria espansione.
Cosa sono le strutture a grande scala dell’Universo
Per comprendere il senso dello studio appena pubblicato è necessaria una premessa. Fino alla fine degli anni Ottanta si pensava che le strutture più grandi dell’Universo fossero i super-ammassi di galassie, distribuiti più o meno uniformemente in tutte le direzioni; nel 1989 gli astrofisici Margaret Geller e John Huchra scoprirono per la prima volta la cosiddetta Grande Muraglia, un muro di galassie lungo 500 milioni di anni luce, largo 200 milioni e spesso 15 milioni. Una struttura a grande scala (Lss), per l’appunto, ossia un sistema di galassie e materia di dimensioni molto maggiori rispetto alle galassie individuali o agli ammassi di galassie. In particolare, queste strutture correlate possono arrivare a dimensioni dell’ordine di miliardi di anni luce e sono create e modificate dalla gravità. Così come la gravità, su scale spaziali più piccole, “assembla” particelle di gas per formare le stelle, e “assembla” stelle per formare le galassie, allo stesso modo “assembla” galassie e materia in strutture, per l’appunto, a scala maggiore. Spesso queste strutture contengono grandi filamenti di galassie e “vuoto”, e assomigliano in qualche modo a una ragnatela – tanto che se ne parla anche come di “ragnatele cosmiche”.
Lo studio delle Lss è legato quindi all’intensità della forza di gravità nell’Universo. Gli astronomi sono in grado di osservare galassie che si trovano a distanze diverse dalla Terra, il che (dato il fatto che la luce viaggia a una velocità finita) corrisponde a guardare “nel passato” dell’Universo – quanto più lontana è la galassia che stiamo osservando, tanto più indietro nel tempo stiamo guardando. In questo modo, si sono resi conto che nel tempo la gravità sta “assemblando” sempre più materia, creando così sempre più “gruppi”, o cluster, nell’Universo. La velocità di creazione di queste strutture, però, non è costante: dal momento che l’Universo si sta espandendo, e si sta espandendo in modo accelerato, la materia impiega sempre più tempo ad aggregarsi, perché le distanze che deve percorrere diventano sempre maggiori – ovvero, in altre parole, ci sono sempre più “vuoti” tra la materia.
Gravità ed energia oscura
C’è dell’altro. Si pensa che a influenzare il comportamento delle strutture a grande scala ci sia anche un’altra entità, la cosiddetta energia oscura. Il periodo ipotetico è d’obbligo, perché al momento non abbiamo alcuna prova diretta e inconfutabile dell’effettiva esistenza dell’energia oscura (anzi, c’è chi sostiene che sia solo un’illusione). È necessaria un’altra piccola digressione: perché gli scienziati ipotizzano l’esistenza dell’energia oscura, se non esiste ancora alcuna prova? La misteriosa entità servirebbe a giustificare il fatto che il cosmo si espande a velocità sempre maggiore, scoperta per la quale Saul Permuter, Brian Schmidt e Adam G. Riess hanno vinto il Premio Nobel per la fisica nel 2011. Sebbene alcuni scienziati sostengano che l’espansione accelerata dell’Universo sia un’illusione, causata dal moto relativo della Terra rispetto al resto del cosmo, o che dipenda da fenomeni gravitazionali ancora sconosciuti, la teoria generalmente più accreditata è proprio quella che tira in ballo l’energia oscura.
Questa branca di ricerca parte dal cosiddetto effetto Sachs-Wolfe. Nel 1967, Rainer Sachs e Arthur Wolfe hanno teorizzato che la luce della radiazione cosmica di fondo (quella lasciataci in eredità dal Big Bang, per intenderci), si sposti leggermente verso il blu passando attraverso i campi gravitazionali generati da grandi ammassi di materia dell’Universo. Secondo gli scienziati, questa radiazione guadagnerebbe energia proprio a causa della presenza dell’energia oscura. Nel 1996, i due astronomi Robert Crittenden e Neil Turok hanno suggerito di sovrapporre una mappa di una porzione dell’universo con la densità spaziale della radiazione cosmica di fondo: la loro tecnica ha rivelato, seppur debolmente, l’effetto, ed è stata premiata come scoperta dell’anno sulla rivista Science. In sostanza, l’energia oscura sarebbe un’entità connessa in qualche modo alla gravità e “necessaria” a giustificare l’espansione accelerata dell’Universo.
Il nuovo studio
Arriviamo così – finalmente – ai nuovi risultati. La ricerca appena pubblicata svela una discrepanza tra le osservazioni e i modelli teorici della gravità (tra cui, naturalmente, la teoria della relatività generale di Einstein) e dell’energia oscura. In particolare, le osservazioni hanno mostrato che le strutture a grande scala stanno crescendo a un ritmo più lento del previsto. Sotto l’effetto della forza di gravità, la materia in queste strutture tenderebbe ad “aggrumarsi”, diventando sempre più densa (per “crescita” si intende infatti un aumento di densità). L’ipotesi dei ricercatori è che i grumi di materia si dispongano in diversi modi a seconda dell’azione di gravità ed energia oscura: “È come un telaio di tessuto – ha detto Minh Nguyen, primo autore del lavoro e ricercatore del dipartimento di fisica dell’ateneo statunitense – in cui si possono tessere strutture mono-, bi- e tridimensionali. Le strutture a grande scala sono un mix di queste tre possibilità: ci sono, per esempio, galassie che ‘vivono’ lungo dei fili (strutture bidimensionali) e galassie che si addensano in dei nodi (strutture tridimensionali)”. Analizzando la cosiddetta radiazione cosmica di fondo (un residuo del Big Bang), gli autori del lavoro sono riusciti a “tracciare” i movimenti di queste strutture nel corso del tempo, scoprendo, per l’appunto, una progressiva diminuzione della loro crescita. Che al momento è inspiegabile: “Le nostre indagini indicano una soppressione della crescita di queste strutture– ha concluso Nguyen – Le possibilità sono due: o ci sono degli errori sperimentali, per esempio nelle sonde che abbiamo utilizzato per analizzare la radiazione cosmica di fondo, oppure c’è della fisica che ancora non conosciamo”. E che non vediamo l’ora di scoprire.
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di Sandro Iannaccone www.wired.it 2023-09-23 05:00:00 ,