Una donna italiana si trova da dieci mesi in detenzione preventiva in un carcere di massima sicurezza a Budapest, in Ungheria, ma il governo Meloni non ha mai risposto alle richieste della famiglia di farle scontare i domiciliari in Italia, in attesa del processo. Si tratta di Ilaria Salis, militante antifascista di Milano, accusata di aver aggredito alcuni neonazisti durante la manifestazione del Giorno dell’onore, che mette insieme nella capitale ungherese migliaia di estremisti di destra, per festeggiare un battaglione nazista che tentò di impedire l’assedio della città da parte dell’Armata Rossa.
L’Ungheria è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per gravi violazioni dei diritti dei detenuti e, stando alle testimonianze, Salis sarebbe sottoposta a condizioni detentive “disumane”, si legge su Repubblica che ha contribuito a dare rilevanza al caso. Nelle celle ci sarebbero topi, scarafaggi e cimici dei letti che le hanno provocato una reazione allergica. Nonostante ciò, il personale del carcere non avrebbe fornito alcuna assistenza medica. Inoltre, mancherebbero carta igienica, saponi e assorbenti e spesso non viene dato cibo per cena.
Le violazioni dei diritti e i maltrattamenti proseguirebbero anche fuori dal carcere. Per i primi sei mesi di detenzione le sono stati impediti contatti con la famiglia, che ha potuto vederla per sole due volte a partire da settembre. L’unico colloquio con i suoi avvocati è avvenuto solo a ridosso dell’udienza preliminare ed è durato pochi minuti, in presenza di un poliziotto. Mentre in tribunale è stata condotta con mani e piedi ammanettati e con un guinzaglio di cuoio al polso tenuto da un agente.
Le autorità ungheresi sostengono che Salis avrebbe partecipato e pianificato le aggressioni come parte del gruppo tedesco Hammerbande, fondato con l’obiettivo di attaccare i militanti fascisti o neonazisti, e per questo rischia fino a 16 anni di carcere, per aver pregiudicato la vita della vittima e aver commesso il reato all’interno di un’organizzazione criminale. Tuttavia, non ci sarebbero prove a confermare la partecipazione di Salis alle violenze, che non risulta nemmeno tra i membri del gruppo.
Per questo insieme di fattori, i familiari hanno chiesto più volte alle autorità ungheresi e italiane di riportare la donna in Italia, contestando anche l’entità della pena per un reato che nel nostro paese viene di solito punito con 4 anni e che dovrebbe ricevere delle attenuanti, visto che le lesioni riportate dalle persone aggredite sono guarite in pochi giorni. Tuttavia, i giudici di Budapest hanno respinto le quattro richieste di rimpatrio, mentre le lettere inviate dalla famiglia alla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e ai ministri degli Esteri e della Giustizia, Antonio Tajani e Carlo Nordio, non hanno mai avuto risposta.
A Salis è stato proposto un patteggiamento a 11 anni che ha però rifiutato, sostenendo la sua innocenza e di aver solo partecipato alle contro manifestazioni pacifiche. In Ungheria vige un regime semi-autoritario, guidato dal governo di estrema destra del premier filorusso Viktor Orban, dove sono state registrate molte violazioni dello stato di diritto negli ultimi anni. Per questo, citando la natura politica dell’indagine e una lettera in cui Salis ha descritto le sue condizioni di prigionia, l’Italia ha negato l’estradizione in Ungheria di Garbiele Marchesi, accusato degli stessi reati della donna, come si legge sul Manifesto.
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di Kevin Carboni www.wired.it 2023-12-18 10:41:41 ,