Uno gruppo di hacker che tale non è e il sospetto di un’operazione “su commissione” contro la pirateria online. Sono tanti gli aspetti opachi dietro un attacco informatico che ha travolto 300.000 utilizzatori del cosiddetto “pezzotto”, il sistema di streaming per la trasmissione (pirata) delle partite di calcio.
Il contesto in cui si inserisce la vicenda è quello dei diritti tv del campionato italiano, un business che muove novecento milioni di euro all’anno e vede nella pirateria online il suo principale nemico. Al punto che il governo, a inizio 2024, ha messo in campo uno strumento specifico – il cui funzionamento in realtà è piuttosto controverso – battezzato Piracy Shield. Una piattaforma che prevede, in buona sostanza, il blocco dei siti pirata attraverso un procedimento legale definito dalla legge 93 del 14 luglio 2023 e che, tra poco, prevederà anche multe piuttosto salate (da 154 a 5.000 euro) per gli utenti.
Piracy Shield, gestita dall’Autorità garante delle comunicazioni (Agcom), sembra però non essere l’unico strumento in campo per contrastare la pirateria. Mentre il sistema messo in campo dal governo Meloni fa leva sulla collaborazione con magistratura e Internet service provider, c’è chi si è mosso per contrastare il “pezzotto” e lo ha fatto in maniera decisamente meno “istituzionale”. Per capire ciò che è successo, bisogna fare un passo indietro e partire dalla seconda giornata del campionato di serie A.
Un gruppo di hacker in campo?
Il 28 agosto Repubblica pubblica un articolo intitolato Calcio, gli hacker dei Caraibi hanno affossato i pirati. Weekend nero per il pezzotto. Nell’articolo, si spiega che un presunto “collettivo hacker” chiamato Mutin.ee, con sede nei Caraibi, avrebbe disturbato le trasmissioni dei siti pirata rendendo impossibile la fruizione dei contenuti illegali ad almeno 300.000 persone. Nel pezzo si legge “lo schermo che si oscura, le immagini che si bloccano per qualche secondo sempre più spesso, molti potrebbero non essere riusciti a vedere proprio nulla”.
La storia, raccontata così, è piuttosto bizzarra. Storicamente, infatti, gli hacker disposti a spendere energie per tutelare il diritto di copyright sono piuttosto rari. Anzi, regolarmente si muovono nella direzione opposta. Infatti, Mutin non è affatto un classico collettivo hacker. Se ci si collega al sito Mutin.ee (il dominio “ee” fa riferimento all’Estonia) ci si trova di fronte a qualcosa di pienamente diverso rispetto alla “solita” pagina nel dark web di hacktivist e cyber criminali. Quello che correo è un sito minimalista, con uno stile elegante. Insomma: sembra a tutti gli effetti il portale di una società commerciale. A differenza dei normali siti aziendali, però, non c’è nessuna indicazione di una sede e nessuno di quei riferimenti che normalmente si trovano nei siti istituzionali.